Intellettuali sempre di parte, mai italiani

Un appello degli intellettuali di sinistra per la Fiera di Francoforte

Intellettuali sempre di parte, mai italiani
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Eh... niente da fare. Se c'è un richiamo a cui l'intellettuale italiano non sa resistere, soprattutto senza essere stato chiamato, è quello a firmare appelli e manifesti. La storia dell'intellighenzia del Paese - con nomi, cognomi e responsabilità - è firmata in calce alla lunga lista di J'accuse che costella la protesta politica, ieri come oggi. Cambiano i nomi - spesso nemmeno quelli - ma il senso è lo stesso: vogliono salvare tutta la società da quello che non piace solo a loro. Non ci riescono mai, di solito fanno danni (vedi il manifesto contro il commissario Calabresi) ma ottengono sempre il loro quarto d'ora di successo. Ieri una quarantina di scrittori fra gli oltre cento invitati a rappresentare l'Italia alla Fiera del libro di Francoforte a ottobre, inzigati da Paolo Giordano, che neanche ci andrà (non aveva judo?), hanno scritto una lettera al direttore della Buchmesse e al presidente dell'Associazione italiana editori, dicendosi preoccupati per come l'Italia sta gestendo l'evento e denunciare l'«ingerenza soffocante della politica» - naturalmente è la destra di governo - sulla cultura. E pensare che uno dei più importanti editori tedeschi - Susanne Schüssler, capo della Wagenbach - si è stupita che più della metà degli scrittori inseriti nella delegazione italiana alla Fiera di Francoforte sia di sinistra e che quindi «la selezione non rispecchia affatto un Paese che ha votato soprattutto per la destra». E ciò basterebbe a chiudere la polemica e far arrossire i «rivoltosi». Fra i quali poi prevale la voglia di farsi accreditare, l'istinto del gregge, voler fare parte della comunità degli scrittori e magari persino (è successo) prima supplicare di essere invitati e poi firmare l'appello. Ma - ecco la domanda - cosa faranno adesso i firmatari della lettera aperta? Ipotesi numero uno: accettano l'invito del governo italiano ad andare a Francoforte - con voli, alberghi, taxi e pasti pagati - e partecipano agli eventi in programma; ma intanto rivendicano anche uno spazio di confronto con i colleghi tedeschi per riflettere, in una sorta di contro-programma, su quanto faccia schifo il governo italiano che li ha portati lì. Ipotesi numero due: declinano l'invito e vanno a Francoforte per i fatti loro per dire quanto è illiberale il governo italiano, e va bene; ma chi paga? L'associazione italiana editori che lavora con il governo? O la Buchmesse (cosa peraltro difficile), creando un incidente istituzionale? Ma poi, al di là di tutto, resta un'altra domanda.

Perché uno scrittore deve sempre sentirsi parte di una fazione, essere allineato al governo per convenienza o essere contro per principio? Non può semplicemente accettare un invito e presenziare all'evento per se stesso, orgoglioso di rappresentare il proprio Paese e non per forza il governo (chapeau a Marina Valensise) o un partito? Non c'è nemmeno bisogno di dirsi «patrioti», per carità. Ma semplicemente «italiani».

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