Forse era destino che il presidente designato a guidare Confindustria per i prossimi quattro anni si dovesse decidere all’indomani del varo della riforma del lavoro. Ossia proprio oggi. Il duello, come noto, è tra due imprenditori lombardi, Giorgio Squinzi della Mapei e Alberto Bombassei della Brembo. Ma al di là dei rispettivi programmi e del risultato, che si conoscerà stamane, una cosa è sicura: la prossima Confindustria va incontro a un profondo cambiamento, che il futuro presidente dovrà gestire.
La parola chiave è «concertazione»: le mosse del governo tecnico hanno mandato in soffitta il rito dell’accordo con le parti sociali, elevando il solo Parlamento come luogo nel quale varare le leggi.
Un altro luogo, lo sterminato tavolo ovale dove da 40 anni si fronteggiavano sindacati, imprenditori, con nel mezzo il governo, è finito in cantina. E, insieme con lui, una buona fetta del potere contrattuale che l’associazione degli imprenditori esercitava all’esterno, e vantava all’interno, derivando da esso la richiesta della salate quote associative agli iscritti. Con questa evoluzione recente in un modo o nell’altro dovranno fare i conti Squinzi o Bombassei. Certo: non va dimenticato che l’attuale momento storico ha creato condizioni eccezionali; che l’abbandono della concertazione è una coordinata di questo governo non politico che sta a Palazzo Chigi; il quale, come tale, non deve rispondere ai direttamente ai propri elettori a loro volta rappresentati dalle associazioni che siedono in quel tavolo. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare a una parentesi destinata a non lasciare traccia e che dunque tutto tornerà come prima dopo le prossime elezioni. Troppo profonde sono le ferite di questa crisi economica e troppo spaventoso è stato il baratro sul quale si è affacciato il sistema Paese per pensare a una rapida restaurazione. Parimenti la concertazione non è forse morta e non è nemmeno serio dipingerla come il peggiore dei mali: è nata per scopi nobili e potrebbe tornare utile in futuro. Tuttavia la svolta c’è stata ed è forte.
Il sistema confindustriale, messo sotto pressione da alcune defezioni eccellenti (prima fra tutte quella della Fiat) dovrà giocoforza avvicinarsi il più possibile alle imprese, anche le meno grandi, per capirne istanze ed interessi, farli propri, e portarli avanti anche attraverso un sistema di relazioni con la politica più articolato. Divenendo meno parte sociale e più lobby.
In questa cornice assumerà un peso importante la capacità di snellire la struttura-Confindustria, oggi composta da 18 associazioni regionali, 100 territoriali, 97 di categoria e 261 associate, per un totale stimato di 5mila dipendenti: un apparato che non regge più il confronto con i tempi e, soprattutto, con quelle delle 146 mila imprese associate e paganti. La distribuzione, all’interno di questa organizzazione, di centinaia di poltrone più o meno di potere, non troverà più giustificazione se non a fronte di specifichi ruoli.
Twitter: @emmezak
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.