"Basta ipocrisie su Zelensky Sanremo come Hollywood"

Il filosofo difende l’ospitata del presidente al Festival: "Siamo in guerra e la propaganda è strumento bellico"

"Basta ipocrisie su Zelensky Sanremo come Hollywood"

Al solo sentir nominare il Festival di Sanremo, Massimo Cacciari (filosofo, ex sindaco di Venezia e parlamentare, anima perennemente critica della sinistra) si scoccia visibilmente. «Ma dai, ma per l'amor di dio, non ho mai guardato quella roba in vita mia, figurarsi se lo faccio stavolta perché c'è o non c'è Volodymyr Zelensky».

Ma non la stupisce la surreale polemica armata da politici e soi-disant intellettuali filo-russi, ma non solo, contro l'intervento del leader ucraino in quella che da anni è la principale tribuna tv italiana?

Ci sono passati tutti, da Gorbaciov alla regina di Giordania ai sindacalisti dell'Italsider, ma il presidente di un paese massacrato no? «A quella polemica mi son ben guardato dal partecipare, come avrà notato. Anche perché è di una ipocrisia ridicola: è in corso una guerra, e noi in siamo parte in causa di quella guerra. Con la decisione di inviare carri armati e sistemi di difesa siamo a tutti gli effetti partecipi: non combattiamo direttamente, ma siamo in guerra. E la propaganda è strumento essenziale di ogni evento bellico, basta ricordare le produzioni cinematografiche di Hollywood durante la Seconda guerra mondiale. Può anche farci schifo la propaganda mischiata alle tragedie, ma in tempi di guerra è inevitabile. Di che ci stupiamo?».

Beh, oddio: non è che alla Bbc, negli anni Quaranta, invitassero Goebbels a spiegare le buone ragioni di Adolf Hitler e la sua legittima difesa del Lebensraum tedesco. Qui invece abbiamo i propagandisti di Putin e i loro scherani italiani invitati in tutti i talk-show televisivi: mi pare difficile parlare di propaganda a senso unico a favore del paese aggredito, ossia l'Ucraina.

«Sì, ma anche in Inghilterra fino al giorno prima c'erano i fautori dell'appeasement con Hitler che dicevano liberamente la loro».

Secondo lei però siamo già al giorno dopo: siamo in guerra, dice. Come finirà questa guerra?

«Malissimo per chi la ha voluta e iniziata, ossia Vladimir Putin. Il capo della Russia ha fatto un errore folle e sciagurato, probabilmente anche indotto da un fallimento disastroso della sua intelligence che non ha capito nulla del nemico. E ha ottenuto esattamente quello che non voleva, ossia un ricompattamento occidentale forzato, sotto l'egemonia Usa. L'Ucraina sarà inevitabilmente il VietNam del Cremlino».

Non teme dunque quella «terza guerra mondiale», con contorno di bombe atomiche a gogò, che minacciano i russi e che paventano tutti i «pacifisti» più indulgenti col Cremlino?

«Macché. I cosiddetti leader politici pacifisti, da Matteo Salvini a Giuseppe Conte, non sono mai riusciti a spiegarci come, secondo loro, si dovrebbero raggiungere la tregua e il cessate il fuoco: riempirsi la bocca della parola pace è un velleitario quanto vacuo esercizio fine a se stesso, se non spieghi in che modo politicamente la si può ottenere. Certo, la guerra è brutta: si sa da millenni: bellum nefandum, diceva Virgilio. Ma non basta dirlo per impedirla».

Lei prevede addirittura un «Vietnam» per Mosca.

«La Russia sarà inevitabilmente sconfitta, non ha alcuna via d'uscita se non cambia la propria leadership cleptocratica e insensata. L'oligarchia corrotta di Mosca non vuole perdere la faccia ritirandosi, ma dopo la follia prepotente di Putin che ordina l'invasione dell'Ucraina, sottovalutando l'incredibile forza del nazionalismo di Kiev, non hanno alcuna speranza di cavarsela. La guerra andrà avanti fino al patatrac della Russia. E gli Usa stanno semplicemente facendo il loro mestiere di impero globale: per loro la sfida decisiva non è certo la Crimea, né l'Ucraina».

E qual è?

«L'appuntamento fatale è nel Pacifico, con la Cina. E devono arrivarci nelle condizioni migliori, con l'Occidente ricompattato e la Russia indebolita dalle sue scelte tragiche e fallimentari, che stanno costando centinaia di migliaia di vite agli ucraini ma anche ai russi spediti ad immolarsi al fronte. Mentre l'Europa intera, che ormai da generazioni ha dimenticato - a differenza degli Stati Uniti - cosa vuol dire combattere una guerra, non ha capito cosa stava succedendo, che rischi si correvano.

E ha fallito ogni tentativo di esercitare una propria leadership e prevenire il conflitto, a cominciare dalla Germania. La verità è che il popolino europeo vive in pace da 80 anni, e si è convinto che questo sia lo stato normale e naturale delle cose. Purtroppo non lo è».

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