Casini minaccia Bersani: non puoi allearti con Vendola

Il leader Udc si scaglia contro Vendola e Di Pietro, che vogliono ripristinare l'articolo 18. E sulla legge elettorale: il Pd non può dirci cosa fare. Sel: "Noi alleati col Pd"

Casini minaccia Bersani: non puoi allearti con Vendola

"Non accettiamo ultimatum da nessuno". Forte del consenso palese e sotteso, ottenuto alla convention di Chianciano, Pier Ferdinando Casini gongola, detta condizioni, ma allo stesso tempo lascia le porte aperte.

Incassato l'appoggio della Marcegaglia, consolidato quello dei banchieri e dei sostenitori di un Monti-bis (o comunque di una prosecuzione dell'agenda dell'attuale governo), il leader dell'Udc si sente in una posizione privilegiata. E la rivendica. Come? Lanciando diktat al Pd e scavando un solco via via sempre più profondo con Nichi Vendola e Antonio Di Pietro.

L'oggetto del primo punto è la riforma elettorale. Casini non ha infatti gradito le parole del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani (contrario al proporzionale alla tedesca e alle preferenze). E ha ribattuto perentoriamente così: "L’Udc non deve niente a nessuno e non deve fare nulla. Di sicuro non possiamo rinnegare quello che abbiamo sempre sostenuto a proposito delle preferenze. Il Pd non ci può chiedere proprio nulla. E non può pensare di sedersi al tavolo della trattativa dicendo no su tutto".

Il secondo punto attiene invece ai due quesiti referendari per chiedere il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, depositati in Cassazione da un nugolo di politici alquanto variegato: Vendola, Di Pietro, il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, il segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto, e alcuni sindacalisti Fiom e Cgil.

E proprio contro questa compagine si è scagliato il leader dell'Udc."Chi, dopo il governo Monti, si vuole assumere la responsabilità di guidare il Paese, niente ha a che fare con chi ha presentato i referendum dal contenuto antitetico a ciò che si è fatto in questi mesi". Insomma, i destinatari principali dell'anatema sono Di Pietro e, soprattutto, Vendola. Il messaggio è invece rivolto a Bersani e suona come un vero e proprio diktat: "Il Pd non può allearsi con Sel".

La risposta del partito di Vendola è arrivata a stretto giro di posta. "Che noi non ci alleeremo mai con Casini lo avevamo già capito e questo è un bene per il Paese: il referendum è uno strumento che va rispettato ed è un modo per far pronunciare i cittadini, non per fare alleanze. Noi la nostra alleanza ce l’abbiamo ed è con il Pd e con soggetti con cui stiamo costruendo il percorso delle primarie. Credo che tutti debbano rispettare i referendum, siano essi dentro o fuori i comitati", ha dichiarato Gennaro Migliore, responsabile della segreteria di Sel. Il segretario democratico è dunque messo spalle al muro e si avvicina inesorabilmente il tempo di decidere da che parte stare.

Nel frattempo, è certo che l'intemerata dei promotori dei quesiti referendari contribuisca ad alimentare la spaccatura in seno al centrosinistra. Così come è probabile che Bersani possa mettere successivamente il cappello ai quesiti referendari (come fece con quelli sull'acqua e sul nucleare). Non per nulla, lo stesso Vendola ieri ha dichiarato che "il Pd, come già successo altre volte, non appoggerà i quesiti referendari ma poi li farà vincere, come è già successo, anche recentemente, altre volte. Ci ritroveremo tutti uniti nel momento del voto".

In tutto questo, Casini cerca di sfruttare il caos per far valere la propria consistenza politica. E se per ora a sinistra usa il bastone con Bersani, al centro invece preferisce usare la carota. Infatti, nonostante il duro attacco incassato dall'associazione Italia Futura, presieduta da Luca Cordero di Montezemolo (che ha bollato il progetto della Lista Italia come un "fritto misto e indigesto"), Casini preferisce mostrarsi moderato e tollerante.

E all'invettiva del think tank montezemoliano risponde con queste parole: "In certi passaggi si marcia divisi per colpire uniti.

Io lavoro per unire un’area vasta che c’è nella politica italiana e che va dal Pd al Pdl, non mi interessa indugiare sulle polemiche e sui personalismi. Andiamo avanti con tutte le persone che vogliono lavorare". Insomma, se un domani Montezemolo vorrà cambiare idea, Casini lascerà la porta aperta.

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