Il presunto attacco di Giorgia Meloni nei confronti del quotidiano La Repubblica è una grande messa in scena per nascondere il vero obiettivo delle parole della premier: la critica severa nei confronti del gruppo Stellantis-Fiat e delle loro politiche industriali. Il riferimento della presidente di FdI alla famiglia Agnelli-Elkann – proprietaria sia di Stellantis che del gruppo Gedi di cui fa parte Repubblica – è magistralmente nascosta dal quotidiano diretto da Maurizio Molinari. In compenso, in grande evidenza, troviamo due interviste fiammeggianti da leggere in combinato disposto per capire la narrazione sinistra anti-Meloni.
La prima, interamente dedicata alla presunta “offensiva” della premier all’editore di Repubblica, è alla segretaria del sindacato dei giornalisti. Alessandra Costante, interpellata per l’occasione, è una furia contro l’esecutivo di centrodestra. Le critiche di Meloni, senza molti giri di parole, secondo Costante sono una “campagna di delegittimazione” senza se e senza ma. “Una campagna di delegittimazione ad opera della premier – spiega con sprezzo del ridicolo – colpisce direttamente i giornalisti e non l’editore”. Che poi tira in ballo la libertà di stampa come strumento perfetto da scagliare contro l’esecutivo: “La qualità della libertà di stampa – aggiunge - è centrale per una democrazia. Non so se sta a cuore al governo”. Poche parole per descrivere una sola realtà fittizia. Un esecutivo dipinto a regola d’arte come allergico all’informazione e alle notizie “scomode”.
Poco importa se, a onore del vero, le parole aspre della premier erano rivolte verso un titolo fazioso di Repubblica di qualche giorno fa e nei confronti delle scelte industriali della famiglia proprietaria di quel giornale. Il racconto di un’“Italia in vendita”, rilanciata da Repubblica, non aveva convinto la premier che, incalzata pochi giorni fa a Quarta Repubblica, aveva risposto per le rime. Le privatizzazioni annunciate e dalle quali il governo spera di incassare 20 miliardi di euro in tre anni non hanno nulla a che vedere con una “svendita” del nostro Paese. La premier, spiegava ai microfoni di Nicola Porro, non intendeva prendere “lezioni di italianità” dal “giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat per cederla ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane”.
Niente da fare. La narrazione è partita e fermarla è oramai impossibile. La seconda intervista di Repubblica, se vogliamo ancora più surreale della prima, è purtroppo una conferma di questa ipotesi. A essere preso per la giacchetta, in questo caso, è Roman Imielski, condirettore del giornale polacco Gazeta Wyborcza. Il motivo? È presto detto: associare il metodo autoritario polacco a quello utilizzato dall’esecutivo italiano. L’attacco di Meloni, spiega il condirettore del giornale, “somiglia a quello che è successo a noi”. E aggiunge: “Del resto Meloni è stata la migliore amica in Europa del Pis. Fanno parte entrambi dello stesso gruppo, i Conservatori”.
Una lunga premessa per lanciare l’attacco: “Evidentemente, giudicando in base agli attacchi che state subendo, hanno in comune la brutta tendenza a bullizzare la stampa libera. Il modello è ovviamente Viktor Orbán, il primo a soffocare sistematicamente la libertà di informazione”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.