Quello che più colpisce della bocciatura del taglio delle Province è l'immobilismo a cui è destinato il Paese. Il parlamento fa, la Corte costituzionale disfa. Gli alti magistrati presieduti da Franco Gallo, hanno potere di vita e di morte sulle leggi votate dalle Camere, sulle decisioni prese dalle aziende e sul destino dei politici. E, sempre, contro gli interessi del popolo.
L'ultimo colpo di mano della Consulta riguarda la riforma delle Province contenuta nel decreto "Salva Italia" voluto dal governo Monti. Ora è tutto da rifare. A detta della Corte costituzionale la riduzione delle Province in base ai criteri di estensione e popolazione non può essere disciplinata con un decreto legge. A poche ore dall’udienza pubblica di ieri, gli alti magistrati hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di una serie di commi dell’articolo 23 del cosiddetto decreto "Salva Italia" che secondo i ricorrenti avrebbe di fatto "svuotato" le competenze delle Province, e gli articoli 17 e 18 del decreto legge numero 95 del 2012, sul riordino delle Province in base ai due criteri dei 350 mila abitanti e dei 2.500 chilometri di estensione. Secondo i giudici costituzionali, "il decreto legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio". Come sottolinea Sergio Rizzo sul Corriere della Sera bisogna ricordare il contesto in cui il decreto "Salva Italia" nacque: il governo tecnico di Monti aveva la necessità di "prendere in poche ore provvedimenti in grado di placare i mercati resi pazzi dalle furiose spallate della speculazione internazionale". Di vizio in vizio, la Consulta abbatte una via l'altra le decisioni prese dal parlamento. La lista è davvero chilometrica e dà l'idea di come il Paese e il suo futuro dipendano dalla ghigliottina dei magistrati. Tanto per farci un'idea: per la Consulta è incostituzionale qualsiasi prelievo fiscale sugli assegni previdenziali, anche se questi superano i 90mila euro lordi, come prevedeva un comma del decreto legge 98 del 2011. Il motivo? Costituirebbe "un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini". Il risultato? Le famose "pensioni d'oro" non possono essere tagliate. No, no, no.
Il vero problema del Paese è che non esiste decisione che non corra il rischio di finire bocciata vuoi dalla Consulta vuoi del Tar vuoi dal Consiglio di Stato. Ieri è toccato alla riforma delle Province. In passato ci sono stati i niet contro la vendita di un immobile dell'Inps, contro la costruzione di un elettrodotto o contro una qualsiasi delibera di una qualsiasi authority. C'è da stupirsi? Macché. Tanto per fare un altro esempio: giusto ieri la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, nella parte che consente la Rappresentanza sindacale aziendale alle sole organizzazioni firmatarie del contratto applicato nell'unità produttiva. La decisione, adottata nell'ambito del ricorso presentato dalla Fiom contro la Fiat, va di fatto a colpire duramente il gruppo torinese creando un precedente pericoloso per tutte le imprese del Paese. È anche successo che venisse cancellato il taglio del 10% degli stipendi dei magistrati. Il motivo è tutto da ridere: avrebbe leso l'indipendenza delle toghe. Per non parlare dei processi a Silvio Berlusconi.
Gli alti magistrati sono adddirittura arrivati a dettare l'agenda della presidenza del Consiglio decidendo quali sono gli appuntamenti importanti e quali non lo sono, cosa può essere considerato legittimo impedimento e cosa non può. Ovviamente, il tutto a discapito del Cavaliere. Tutto normale: è l'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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