Con lui si chiuderebbe il cerchio. Non quello magico che va a comprare le lauree all’estero. Ma quello dei veri professori, dei tecnici, dei rappresentanti dei poteri che ora reggono le sorti dell’Italia. Insomma, se Ferruccio De Bortoli diventasse presidente della Rai, un altro tassello dell’operazione Mario Monti andrebbe a incastrarsi nel puzzle che ha rivoluzionato il nostro paese. Per ora è solo un’ipotesi, un rumor, una chiacchiera. Però, pare, si dice, che il premier stia mettendo in atto un pressing discreto ma deciso per convincere il direttore del Corriere della Sera ad accettare l’incarico. E, soprattutto, per persuadere le forze politiche che sulla questione si scannano da decenni della bontà della scelta.
Per Monti sarebbe la realizzazione di un sogno. Non solo con De Bortoli ha strettissimi rapporti personali e indubitabili affinità elettive, ma con il più british dei giornalisti italiani condivide e ha condiviso una visione dell’Italia che ha trovato espressione in questo governo. Una visione coltivata per anni da entrambi, uno come direttore e l’altro come editorialista, sulle colonne del Corriere e diventata realtà con la decisione di Berlusconi di farsi da parte. Nonché sostenuta con forza dal quotidiano in questi primi mesi di dure e impopolari riforme (appoggio condito da una serie di critiche anche forti per cercare di smarcarsi dalla definizione di house organ della nuova real casa).
Il progetto De Bortoli in Rai ha un presupposto e uno scopo che viaggiano in parallelo: liberare l’azienda pubblica dalla pressione dei partiti. Il direttore non solo incarnerebbe questa idea (il suo curriculum - strumento tanto invocato in questi giorni - parla da solo), ma se ne farebbe garante. E, dunque, presupporrebbe un direttore generale super tecnico e consiglieri di amministrazione scelti sulla base delle competenze e non dell’appartenenza politica. Del resto, già qualche anno fa, De Bortoli era stato il candidato numero uno alla presidenza (e in passato lo fu anche Paolo Mieli) della Tv di Stato: alla fine decise di rifiutare proprio per non impelagarsi nelle tenaglie partitiche che strozzano la Rai. Ora se il progetto dell’esecutivo di allentare queste catene dovesse trovare uno spiraglio con la designazione di candidati «tecnici» (le votazioni della commissione parlamentare di vigilanza cominceranno la settimana prossima), anche De Bortoli potrebbe convincersi ad accettare, soprattutto se nel mandato del nuovo vertice venissero inclusi - come si sta studiando a palazzo Chigi - poteri decisionali più forti rispetto alla governance attuale. Del resto, a questa ipotesi si sommano le altre voci che continuano a circolare su un possibile cambio al vertice di via Solferino dove potrebbe arrivare l’attuale direttore della Stampa Mario Calabresi. Insomma, molti tasselli troverebbero un’esatta collocazione.
Tutto questo si deve scontrare con la volontà politica che, comunque, avrà l’ultima parola in un’azienda pubblica come è la Rai. De Bortoli non è certo amato dal centrodestra berlusconiano. Però troverebbe l’appoggio del Pd e potrebbe far cambiare idea a Bersani che ha minacciato di disertare l’elezione del nuovo Cda nel caso in cui non si cambiasse la governance della Rai. Uno stallo pericoloso anche per il Pdl.
In alternativa, continua a essere in pole position un altro noto giornalista: Giulio Anselmi. Mentre per la direzione generale si fanno i nomi di Claudio Cappon che ha già guidato la Rai due volte e del manager Francesco Caio.
Ieri sono arrivati sul tavolo di Monti anche i curricula dei due autocandidati (in coppia) Carlo Freccero-Michele Santoro. Le audizioni continuano. Oggi l’assemblea degli azionisti della Rai decreterà la chiusura di questo mandato del Cda. Nelle prossime settimane si dovranno concludere i giochi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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