Roma - La Storia si ripete. Sempre. Soprattutto quella economica, anche se con eco diverse. Venerdì scorso la Commissione europea ha concesso a Francia e Spagna un rinvio per far scendere i deficit sotto il 3%. Due anni a Parigi, che ora viaggia al 3,9% (con proiezione di crescita al 4,2% nel 2014); un anno a Madrid, attualmente al 6,5% (con previsione al 7,2% il prossimo anno). E a fine mese dovrebbero arrivare altri slittamenti per Olanda, Slovenia e Polonia (seppure quest'ultima non aderisca all'Eurozona).
Quasi dieci anni fa avvenne lo stesso. Era il 23 novembre del 2003. L'Italia era presidente di turno dell'Unione europea e la Commissione (presieduta da Romano Prodi) propose un inasprimento delle procedure per deficit eccessivo per Francia e Germania. L'Ecofin, il Consiglio dei ministri delle Finanze europeo, doveva discutere se applicare a Parigi e Berlino un articolo del Trattato (dal 104.6 al 104.7) che era l'anticamera dell'introduzione delle sanzioni economiche (definite dal quel Trattato all'art. 104.8). L'Italia favorì il blocco di quel processo e l'Ecofin decise - nei fatti - il congelamento della procedura d'infrazione nei confronti di Germania e Francia.
I fatti di dieci anni fa sono stati a lungo stigmatizzati dall'ex presidente del Consiglio. Non solo all'epoca. Anche quando occupava un ruolo a Palazzo Chigi. Quasi a ogni conferenza stampa, a Bruxelles come in Giappone, Mario Monti criticava le scelte di quel 23 novembre di 10 anni fa. «Germania e Francia sono complici nella creazione della crisi del debito europeo - osservava l'ex premier - oltrepassarono il valore del 3%, con il tacito assenso italiano, senza essere punite». Eppure, quella mancata «punizione» consentì alla Germania di varare misure strutturali tali da permetterle oggi un deficit di bilancio pari allo 0,2%.
Ora, però, che la Commissione ha deciso un rinvio del rientro per Francia e Spagna né dal prof. Monti né da altri si sono levate voci critiche. Al contrario. Il sottosegretario all'Economia, Stefano Fassina, quasi auspica uno slittamento anche per l'Italia. Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione gli risponde che al momento non è arrivata nessuna richiesta da parte dell'Italia «e quando e se arriverà, verrà valutata».
In realtà, il governo italiano non sembra affatto intenzionato a chiedere slittamenti per il raggiungimento del target. Oggi abbiamo un deficit certificato dalla Commissione al 2,9% per il 2013, con la previsione di una sua discesa al 2,5% nel 2014. Una circostanza che consente di sbloccare 12 miliardi di co-finanziamenti europei da dedicare agli investimenti.
In più, quel che avvenne nella notte del 23 novembre di quasi 10 anni fa ha di fatto rappresentato un prologo di quel che sarebbe poi stata la riforma del Patto di stabilità e crescita (arrivata 2 anni dopo); princìpi poi ribaditi nel «fiscal compact».
Uno su tutti: il rispetto degli impegni europei deve essere letto con gli occhiali della congiuntura economica. Paesi in recessione - come Francia e Spagna nel 2014 - non possono applicare inasprimenti di bilancio per rispettare gli impegni europei. Altrimenti, l'economia reale soffre e la situazione politica evolve verso gli estremismi.
É questa la lezione italiana che Bruxelles sembra aver compreso e che vuole evitare si propaghi al resto d'Europa. Da qui, la scelta di concedere dilazioni temporali nel rispetto degli obbiettivi di bilancio.
Un'evoluzione dell'approccio europeo che nasce 10 anni fa. E che in tanti criticarono e criticano ancora oggi, in nome di un dogma lontano dalla realtà.
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