L'ira dell'Eliseo per il contropiede italiano sulla Libia

La presenza a Roma dell'ingombrante generale libico può aver scatenato l'ira funesta dell'Eliseo.

L'ira dell'Eliseo per il contropiede italiano sulla Libia

«Cherchez la femme» scriveva Alexander Dumas se di mezzo c'era un intrigo. Ma se di mezzo ci sono Roma, Parigi e la Libia meglio cercare Khalifa Haftar. Proprio la presenza a Roma dell'ingombrante generale libico, transitato giovedì dagli uffici di Giorgia Meloni e del ministro degli esteri Antonio Tajani, può aver scatenato l'ira funesta dell'Eliseo. Un'ira affidata poi, come già in passato, alla libera interpretazione del ministro degli interni francesi Gérald Darmanin. Ma quali interessi metteva a rischio la visita romana di Haftar e perché può aver innervosito Parigi? Per capirlo non bisogna guardare a Darmanin, ma alle mosse di Paul Soler, il fidato pro-console di Emmanuel Macron incaricato di ricostruire la presenza francese in Libia e dintorni. Dopo due anni di trattative non facili, in una Libia dove nessuno ama più Parigi, Soler sarebbe ad un passo dall'organizzare un summit parigino con la partecipazione del rappresentante del segretario generale dell'Onu in Libia Abdoulaye Bathily, i componenti del Comitato militare congiunto responsabile del disarmo delle milizie e i capi-bastone dei principali gruppi armati sparsi tra Tripoli e Bengasi. All'ordine del giorno del summit vi sarebbe la creazione, sotto regia francese, di una forza militare transitoria in grado di rappresentare tutti i gruppi armati e garantire lo svolgimento di elezioni entro l'anno. Un'impresa capace di restituire a Parigi e all'Eliseo quel ruolo di demiurgo dei giochi africani che Macron è riuscito a dissipare non solo in Libia, ma anche nel resto del Sahel. Ma la complessità dell'operazione avrebbe fatto perdere la bussola ai «cugini» francesi convinti che l'arrivo di Haftar a Roma non punti solo a bloccare le oltre 10mila partenze di migranti registrate quest'anno in Cirenaica, ma anche a mettere i bastoni tra le ruote a Soler restituendo all'Italia un rapporto privilegiato con il generale. Un nervosismo alimentato dalle fissazioni di un Macron pronto a considerare delitti di lesa maestà le mosse italiane sui fronti libici ed africani. Figuriamoci poi se ai colloqui romani di Haftar si aggiungono i progetti di una Presidente del Consiglio decisa a rilanciare le intese con i paesi africani trasformando l'Italia in un «hub» energetico per lo smistamento in Europa di gas e petrolio in arrivo da sud. Anche perchè a rendere ancor più scoperti i nervi dell'Eliseo contribuiscono i rapporti sempre più stretti tra il nostro Paese e una Tunisia e un'Algeria che Macron non rinuncia a considerare parte integrante dei propri interessi nazionali. Dispiaceri a cui s'aggiunge l'incubo di una Tunisia ancor più vicina all'Italia se il Fondo Monetario Internazionale accettasse - grazie anche ai buoni uffici di Meloni e Tajani - di concedere al presidente Kais Saied il mega prestito da 1,9 miliardi di dollari indispensabile per arginare la crisi e nuovi esodi di migranti. E nel «cahiers de doléances» di una Parigi sempre più sospettosa nei confronti di Roma non manca quell'Egitto considerato il grande protettore di Haftar.

Un Egitto che dopo l'incontro dello scorso novembre a Sharm El Sheik tra Meloni e il presidente Abdel Fattah Al Sisi non è più l'interlocutore privilegiato di una Francia abilissima, in precedenza, a sfruttare le difficoltà del caso Regeni. Dietro la rabbia del ministro Darmanin si nascondono, insomma, le frustrazioni del presidente Macron.

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