
Da qualche parte esiste una legge universale del Pd. Si basa su due assiomi. Il primo è che chiunque sia il segretario si formerà in tempi piuttosto brevi una combriccola di congiurati pronti a farlo fuori appena cresce il suo consenso. Il genere, maschio o femmina, risulta del tutto ininfluente. Il secondo dice che davanti a una scelta storica, una di quelle porte scorrevoli che segnano il destino, il Pd si spacca. C'è chi vota sì e chi si astiene, chi scrive no e chi scrive sì, se poi per sbaglio le scelte coincidono il sì, il no e il «mi astengo» hanno comunque, e in modo imponderabile, significati diversi. È il principio della partenogenesi sterile. Non c'è quindi da stupirsi per quello che è avvenuto a Strasburgo sul piano ReArm Europe. Il Pd si conta così: 11 a favore, 10 astenuti e apparentemente nessun contrario. Questa però non è affatto una contingenza. È come la legge di gravitazione di Newton. È questione di massa e di distanza. È, soprattutto, un problema di identità. Il Pd non si riconosce in positivo. Il Pd è ciò che non è. Esiste solo per contrapporsi a qualcuno. Si compatta, generando sdegno e indignazione, solo quando ha un nemico da delegittimare. È antimateria. Non va in piazza per immaginare un'alternativa e neppure per un momento di democrazia diretta, ma solo per sfuggire a un dubbio: esistiamo veramente? Di fatto davanti alla storia si frantuma. Questo non è il segno di una molteplicità di idee e riflessioni. Sarebbe bello se fosse così. È invece il dramma di una sinistra che da decenni non ha più una cultura.
È lo sguardo corto di intellettuali che non pensano la realtà e non la interpretano, ma spendono tutte le loro risorse per difendere un paradigma che ripudia qualsiasi futuro, qualunque sia. Il Pd, compromesso senza storia di post comunisti e post democristiani, non sceglie, resiste. E per sopravvivere si mangia i suoi leader.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.