La lezione Usa 4mila miliardi per ripartire

Tassi più bassi e acquisto di titoli del Tesoro americano: così la Federal Rserve ha battuto la crisi. Una lezione per la Bce

La lezione Usa 4mila miliardi per ripartire

Quando Ben Bernanke ha cominciato la sua avventura di presidente della Federal Reserve otto anni fa, l'economia americana cresceva a un ritmo del 3,4% e Lehman Brothers era, per quanto piena di titoli legati ai mutui subprime in pancia, una banca d'affari di grido: nessuno sospettava, o almeno nessuno lo diceva, che sarebbe fallita, dando il via alla crisi più grave dai tempi della Grande Depressione.

Venerdì 31 gennaio è terminato il secondo mandato di Ben Bernanke alla guida della Fed e gli Stati Uniti sono gli unici tra i grandi paesi avanzati che sono tornati al livello di Pil pre-disastro. L'esatto contrario di quanto è avvenuto in Europa, dove le istituzioni non hanno saputo rispondere alla crisi causata dalla speculazione internazionale. Vediamo, allora, le diverse risposte alla crisi di Stati Uniti ed Europa, in particolare ponendo in parallelo Federal Reserve e Banca Centrale Europea.

La risposta della Federal Reserve alla crisi

Come noto, l'inizio delle tensioni sui mercati finanziari risale ad agosto 2007, con lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti. La reazione della Federal Reserve è stata immediata: riduzione dei tassi di interesse tra 0% e 0,25% ed estensione dei prestiti alle banche. In particolare, al fine di perseguire gli obiettivi del proprio statuto - stabilità dei prezzi e livello massimo di occupazione - la Federal Reserve ha proceduto con due differenti tipologie di operazioni: Large-Scale Asset Purchases (LSAPs), altrimenti noto come Quantitative easing, vale a dire l'acquisto massiccio sul mercato primario di titoli del Tesoro americano e Maturity Extension Program (MEP), noto anche come Operation Twist, vale a dire la vendita di titoli a breve termine e il contemporaneo acquisto, per pari importi, di titoli a lungo termine.

Con riferimento al Quantitative Easing, la prima tranche si è conclusa i primi mesi del 2010 per un importo di titoli acquistati pari a 1.700 miliardi di dollari e la seconda tranche, iniziata a novembre 2010 e terminata a metà 2011, ha riguardato l'acquisto di 600 miliardi di titoli. La terza tranche è cominciata a settembre 2012 e ha riguardato l'acquisto da parte della Fed di 85 miliardi di titoli ogni mese, passati a 75 miliardi al mese da dicembre 2013 e a 65 miliardi a mese da gennaio 2014 (il famigerato, e temuto, tapering, vale a dire la graduale riduzione degli acquisti). Totale complessivo: 3.650 miliardi di dollari. Con riferimento all'Operation Twist, avvenuta in due tranche, la Fed ha venduto titoli a breve termine e acquistato titoli a lungo termine. Totale complessivo: 667 miliardi di dollari. Cifre e tempistica da capogiro.

Gli effetti della politica monetaria americana sull'Europa

In un'economia globalizzata, le diverse fasi di Quantitative Easing e di Operation Twist negli Stati Uniti non potevano non generare ripercussioni in Europa.
In un primo momento, spinti da comportamenti anomali, che hanno creato panico sui mercati, anche gli investitori americani hanno venduto titoli del mercato europeo. Dalla seconda metà del 2012, invece, a seguito dell'intervento rassicurante del presidente della Bce, Mario Draghi, gli investitori americani sono ritornati in Europa per riequilibrare i loro portafogli. Questo spiega due cose: innanzitutto spiega l'andamento positivo degli investimenti americani in titoli di Stato dei paesi dell'area euro e/o in azioni di società europee a partire dalla seconda metà del 2012. In secondo luogo dimostra in maniera inconfutabile come sia la crescita negli Stati Uniti a trainare la crescita nell'area euro.
Stando alle previsioni degli analisti, i risultati soddisfacenti delle borse e dei rendimenti dei titoli del debito pubblico e dei paesi europei continueranno per tutto il 2014, nonostante la bassa crescita (più bassa rispetto a tutti i principali competitor mondiali, dagli Stati Uniti al Giappone, dall'Asia ai Paesi emergenti) e nonostante il rischio di deflazione nell'area euro. Quest'ultimo, anzi, paradossalmente, incentiva gli investimenti in Europa, in quanto letto dai mercati come una sorta di «rassicurazione» che la Bce continuerà con la politica monetaria espansiva.

Gli effetti sui Paesi emergenti

Il grande interesse registrato nel 2013 degli investitori americani per il mercato europeo, soprattutto spagnolo, inglese e italiano, che è, di fatto, il motivo della riduzione dei rendimenti dei titoli di Stato e, di conseguenza, degli spread, è l'esatto contrario di quanto sta avvenendo con riferimento ai paesi emergenti: i cosiddetti Brics, vale a dire Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, dove la crescita rallenta trimestre dopo trimestre e dove è in corso una crisi valutaria senza precedenti.

Il boom economico degli ultimi anni in questi Stati, infatti, è stato spesso legato all'afflusso di capitali stranieri grazie all'enorme massa di liquidità immessa dalle principali banche centrali mondiali, e in particolare dalla Federal Reserve. Liquidità che, a seguito dell'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato americani conseguente al graduale rallentamento della politica monetaria espansiva da parte della Fed, torna a dirigersi verso gli Usa, con relativo crollo delle valute locali dei Brics e con relative scelte di politica monetaria che le banche centrali di quei paesi sono costrette a compiere (leggi: svalutare).

Se la Bce fosse la Fed

Federal Reserve e Banca Centrale Europea hanno Statuti differenti, che forniscono strumenti di politica monetaria differenti. Ma, pur in tale diversità, le decisioni assunte dalle due banche centrali hanno avuto numerosi punti di contatto. Gli effetti delle politiche monetarie simili adottate da Stati Uniti e Europa, sono stati, però, differenti: negli Usa immediati, in Europa sempre sofferti. Le decisioni del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, sono state messe in discussione, spesso e a prescindere, dalla Bundesbank, causa le ossessioni inflazionistiche della banca centrale tedesca. Con il risultato di delegittimare la Bce e di ridurre la portata degli interventi da essa messi in atto.

Negli anni della crisi l'Europa è stata succube dell'egemonismo egoista e calvinista della Germania. E la Commissione europea di José Manuel Barroso, forte con i deboli e debole con i forti, ha ceduto la sua sovranità allo Stato tedesco. Con la scusa dello spread sono stati fatti cadere governi legittimamente eletti e il vuoto delle istituzioni ha causato derive populiste, crisi democratiche e sentimenti anti Europa tedesca. E le terapie sangue, sudore e lacrime non solo hanno acuito la crisi, ma hanno anche finito col ridurre gli effetti delle misure nel contempo messe in atto dalla Banca Centrale Europea.
L'occasione per cambiare la politica economica europea è a portata di mano. La linea del rigore cieco e dell'austerità fine a se stessa di Angela Merkel non può più continuare. Non può più continuare l'Europa a trazione tedesca. È quella di Angela Merkel, egoista ed egemonica, intransigente, per niente solidale, l'Europa che vogliamo? È una Bce bloccata da continui veti tedeschi, impossibilitata a fare crescita e sviluppo la banca centrale che vogliamo? O è il modello americano quello da seguire, se vogliamo tornare a crescere, in Europa e in Italia?

Questi temi il nostro paese dovrebbe evocare in Europa, per evitare che tutto quello che l'eurozona ha patito negli ultimi 5 anni possa continuare e magari

ripetersi. Questi punti devono essere alla base del programma di tutti i partiti europei in vista delle elezioni europee del prossimo 25 maggio. In fondo, è anche un appello a non continuare a farci del male. Il tempo è scaduto.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica