Annunciato il nuovo volto premium del gruppo Fiat e stabilite le mission degli stabilimenti italiani (nessuna chiusura a differenza dei concorrenti europei Psa Peugeot Citroën e Ford) ieri Sergio Marchionne è stato costretto, dalla sentenza dei giudici di secondo grado di Roma, a venir meno a un impegno, quello di non fare tagli del personale. Quello che si temeva - cioè il «travaso» di operai a Pomigliano (l'uscita di 19 addetti, già regolarmente sulla linea di montaggio della Panda, per fare spazio ai 19 Fiom «riassunti» dai giudici) - è realtà. In 19 saranno così licenziati entro 45 giorni, e altrettanto toccherà alle altre 126 tute bianche napoletane da qui a sei mesi. Per Fiat si tratta di un provvedimento obbligato e sofferto, imposto dalla sentenza di Roma. Con la crisi del mercato e il crollo delle vendite di auto, aveva avvertito a suo tempo Marchionne, a Pomigliano non ci sono le condizioni per aumentare il personale e, quindi, la produzione.
Gli operai che attendono di essere riassunti, tra cui i 145 della Fiom non firmatari degli accordi sindacali che hanno consentito la ripartenza della fabbrica alle porte di Napoli, sono tuttora in cassa integrazione. E dalle intese con l'azienda il loro riassorbimento è direttamente proporzionale alla domanda, attualmente scarsissima, di automobili.
La forzatura giudiziaria ha portato al paradosso, il cosiddetto mors tua vita mea. E così si è venuta a creare una situazione drammatica, che costringe la direzione dello stabilimento a tagliare 19 teste ora e altre 126 il prossimo anno. Alla Fiat restano 45 giorni, dal 19 ottobre scorso, per eseguire la sentenza. Allo stesso tempo le parti in causa sono chiamate a una profonda e rapida riflessione. La Fiom, insomma, dovrebbe fare un passo indietro per non avere sulla coscienza 19 posti di lavoro. Sollecitazioni, in questo senso, arrivano dai sindacati che hanno firmato l'accordo di Pomigliano. Gli stessi sindacati si chiedono anche come faranno i neoassunti a firmare un contratto che hanno sempre combattuto e rinnegato. Siglandolo sconfesserebbero la loro azione di lotta, non una bella figura per il sindacato e il suo leader Maurizio Landini. «La Fiom non si è preoccupata minimamente delle conseguenze delle proprie azioni e del rischio in cui potevano incorrere i lavoratori», commenta Ferdinando Uliano (Fim). «La decisione della Fiat altro non è che la conseguenza di chi pensa di fare le relazioni sindacali utilizzando le aule del tribunale», gli fa eco Giovanni Sgambati (Uilm). «La Fiom si vergogni», taglia corto Roberto Di Maulo (Fismic). Per Giovanni Centrella (Ugl) «i giudici, quando emettono sentenze che riguardano siti produttivi, nei quali si sta già faticosamente portando avanti un progetto industriale, si dovrebbero domandare con maggiore attenzione quali potrebbero essere le conseguenze delle loro decisioni; quello che sta accadendo a Pomigliano è aberrante perché i lavoratori vengono messi gli uni contro gli altri». La Fiom, dal canto suo, continua invece, attraverso Landini, con la sua linea, e accusa la Fiat di aver deciso «un atto illegittimo, grave, ricattatorio contro i principi della Costituzione»; «una strategia vergognosa che ha solo lo scopo di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri», rincara la dose il segretario confederale Elena Lattuada. Stando così le cose, il destino dei 145 già al lavoro, è praticamente segnato.
Intanto, la crisi miete un'altra vittima illustre, Gm Europa, che vuol dire Opel/Vauxhall. Il rosso di 500 milioni nel terzo trimestre, che a fine anno dovrebbe salire fino a 1,8 miliardi di dollari, ha costretto il gruppo a comunicare il taglio di 2.600 persone.
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