Prima gli insulti, gli sfottò, le provocazioni. Poi una stentata autodifesa durante la trasmissione Servizio Pubblico di Santoro. Infine, le scuse. Non proprio sentite, però. La parabola di Marco Bruno, il manifestante no Tav che per un paio di minuti ha sbeffeggiato il carabiniere in assetto antisommossa, sfottendolo e definendolo una "pecorella" si conclude con un'ammissione di colpevolezza, condita con giustificazioni e incongruenze.
"È vero me la sono presa con lui, ma quel giorno ero molto arrabbiato, non l’ho fatto per cattiveria e né con odio, ero esasperato dalla situazione". Così Bruno ha spiegato le motivazioni della sua "bravata" nella trasmissione radiofonica Un Giorno da Pecora.
"Sicuramente ho sbagliato ad essermela presa anche con la sua famiglia: quella frase sulla ragazza non la ripeterei", ha ammesso il ragazzo, aggiungendo poi di essere "disposto a chiedergli scusa e a fare molto di più. Sarei disposto a dargli tutto: il mio lavoro, la mia casa. A patto che lui faccia obiezione di coscienza e si spogliasse di quella divisa". Insomma, altro che scuse. Bruno il vizio della provocazione non l'ha mai perso.
Già nella trasmissione di Santoro il manifestante aveva fornito la sua spiegazione dei fatti, raccontando che "il mio gesto è un gesto che compio spesso quando faccio i blocchi, è da dieci anni che facciamo queste cose. Quando mi trovo di fronte a centinaia di forze dell'ordine armate fino ai denti, noi in dieci, in quindici, in cinquanta anche in cento seduti con le mani in alto...
Per vincere la paura mi immedesimo nel mio idolo che è Peppino Impastato, cerco di essere un po' più canzonatorio. Mi avvicino ai cordoni e provo a interagire con le forze dell'ordine". Anche in quell'occasione Bruno non aveva le idee chiare, né tantomeno sembrava conoscere i suoi idoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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