Roma - «A Monti e al ministro Fornero dico: siate politicamente scorretti», esorta l’ex ministro Mariastella Gelmini.
In che senso?
«Nel senso che devono tradire le vecchie liturgie della consociazione, i riti gattopardeschi».
Quelli che...
«Quelli che portano, nella trattativa sulla riforma del mondo del lavoro, ad ascoltare solo Cgil e gli altri sindacati, trascurando le ragioni delle piccole e medie imprese, delle partite Iva, degli artigiani, dei commercianti. Che stanno reggendo l’Italia nella crisi molto di più della finanza e della speculazione. A questa gente si chiede in un momento già di grande difficoltà di pagare l’Imu, l’addizionale Irpef e tanti altri balzelli. Bisogna ascoltare le loro ragioni».
Però il Pdl appoggia Monti...
«Guardi, bene ha fatto Alfano nell’incontro che c’è stato giorni fa con il governo e con gli altri leader che lo sostengono a sottolineare che il Pdl è pronto a votare la riforma del mercato del lavoro e non una riformetta. Facciamo il tifo perché Monti e Fornero tengano la schiena dritta e ascoltino le ragioni di coloro che fanno il Pil dell’Italia, al di fuori delle solite ricette stataliste e consociative, non sostenibili per piccole realtà già oggi in grande difficoltà».
E se queste ragioni non venissero ascoltate?
«Non voglio nemmeno pensare a questa eventualità, che non resterebbe senza conseguenze».
Addirittura.
«Una delle ragioni della discesa in campo di Silvio Berlusconi, della nascita di Forza Italia e poi del Pdl, è stata la volontà di dar voce alla gente abituata a lavorare sodo in solitudine, tra mille difficoltà, vessata dal fisco e dalla burocrazia. E oggi anche dalle banche. Gente che non conosce la retorica con cui ancora oggi da sinistra viene descritto il mondo del lavoro ma ne conosce le mille difficoltà. Questo è tuttora il nostro bench mark, la ragione per continuare la battaglia intrapresa nel 1994».
Che cosa chiede al governo questo popolo che produce?
«Due sono i punti fondamentali della riforma: maggiore flessibilità in entrata e in uscita e modifica dell’articolo 18. Quest’ultimo in particolare è il tratto più qualificante di questo governo in Italia e all’estero e la richiesta più importante contenuta nella lettera inviataci dalla Bce mesi fa. Comprendo e condivido il rammarico di Berlusconi per il fatto che ci arriviamo con dieci anni di ritardo. Noi non ci riuscimmo a causa della resistenza strenua di sinistra e sindacato. E l’Italia ha pagato un prezzo alto: il mondo è cambiato e noi siamo ancora lì a discuterne».
E per la flessibilità?
«È fondamentale evitare una pressioni regolatoria sui contratti di cui non si avverte la necessità. Se da un lato è giusto punire gli abusi dei contratti atipici, dall’altro è sbagliato considerarli un male in sé. Così come è sbagliato l’automatismo per cui un contratto atipico ne determina uno a tempo indeterminato. Posso fare un esempio?».
Prego.
«Se una piccola trattoria non potesse più utilizzare il lavoro a chiamata la domenica e potesse fare solo assunzioni a tempo indeterminato, finirebbe per rivolgersi al lavoro nero».
Però riformare il mercato del lavoro è necessario.
«Certo, e il governo Monti avrà il Pdl al suo fianco sempre. Ma demonizzare il contratto atipico è un errore. Una riforma del mercato del lavoro che aumenti il costo del lavoro non è una vera riforma. Guai a umiliare il lavoro autonomo e il rischio di impresa, senza i quali l’Italia non sarebbe la stessa. Siamo fiduciosi ma anche molto vigili. E vigileremo anche sull’accesso al credito. Vogliamo vedere come le banche investiranno i 100 miliardi avuti dalla Bce all’1 per cento di interesse».
Vien da pensare: ma perché la riforma del lavoro il Pdl non l’ha fatta quando governava?
«Due riforme non ci sono riuscite. La prima è quella del fisco, perché la crisi ce lo ha impedito.
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