Da una attenta lettura del documento sulla riforma del mercato del lavoro elaborato dal ministro risulta chiaro che il suo obiettivo è quello di proporre una nuova mediazione sociale fra le parti, e certamente non un’operazione unilaterale di rottura sociale. L’ipotesi di mediazione riguarda da un lato la regolarizzazione della flessibilità in entrata - e quindi le varie forme di lavoro a termine e di precariato - e dall’altro, un aspetto della flessibilità in uscita regolata dall’articolo 18 (quella riguardante i licenziamenti per ragioni oggettive e economiche) mentre le altre (i licenziamenti per discriminazioni o per ragioni disciplinari) rimangono inalterate.
Come è noto le forme di lavoro a tempo e precario, risalenti all’elaborazione di Treu e di Biagi, sono derivate dal tentativo di assicurare comunque un percorso occupazionale alle nuove generazioni in una situazione di assoluta emergenza che non è il frutto della malvagità sociale degli imprenditori e dei governi.
Orbene il testo del progetto governativo ridimensiona fortemente le varie forme di lavoro a tempo determinato e precario per proiettare tutto verso il lavoro a tempo indeterminato il cui sviluppo è incentivato appunto dall’aumento di flessibilità in uscita per ragioni economiche. Ma è evidente che se cade quest’ultima condizione salta tutto l’impianto e la logica del provvedimento. Ma c’è anche un aspetto politico. Finora tutte le proposte del governo Monti, dal primo decreto firmato sull’aumento della tassazione sulla casa e sulla riforma delle pensioni a quelli sulle liberalizzazioni e sulle semplificazioni hanno avuto una loro motivazione in termini di urgenza non tanto per una valutazione temporale (in molti casi l’urgenza in senso stretto non c’era) ma per l’emergenza dei mercati e dell’Europa. Adesso questa decretazione per ragioni d’urgenza viene meno proprio sulla riforma del mercato del lavoro la cui immediata necessità è invece contenuta proprio nella lettera della Bce del 5 agosto 2011. Tutto ciò è in contraddizione non solo con la logica di natura emergenziale, per i mercati e per l’Europa, ma anche con la logica di fondo che dalla sua nascita ha caratterizzato il governo Monti.
In questa circostanza la decretazione d’urgenza viene meno per una scelta di mediazione politica rispetto ad una parte del Pd e alla Cgil. Noi non ne traiamo la conseguenza di una crisi di governo, come paventa Casini, ma è evidente che questo impasse deriva proprio dalla mancata decretazione d’urgenza che a sua volta vanifica il tentativo di soluzione insito nel testo del governo e che questo «blocco» non deriva certo dal Pdl. A questo punto si impone una riflessione su tutta la materia perché così come essa è impostata rischia di andare a finire su un binario morto, in una situazione accentuata da contraddizioni anche istituzionali. Detto tutto ciò esistono anche due problemi politici di fondo. A nostro avviso, malgrado il conflitto aperto sul tema del lavoro, bisogna fare di tutto per portare a compimento sia la riforma istituzionale, sia la riforma elettorale.
Per ciò che riguarda la legge elettorale l’esigenza della riforma è duplice: essa deriva non solo dalla necessità di fare in qualche modo eleggere i parlamentari dai cittadini, ma anche per il fatto che un certo tipo di bipolarismo è finito e va sostituito non con un impossibile consociativismo, ma con un bipolarismo di segno nuovo, auspicabilmente più civile. Questo bipolarismo può essere fondato in primo luogo sulla dialettica fra i maggiori partiti per la quale, a nostro avviso, è adeguato, salvo ulteriori approfondimenti, il progetto fondato su un intreccio fra sistema tedesco e sistema spagnolo sul quale si è lavorato. Infatti non è affatto vero, che il bipolarismo si esprime solo e soltanto attraverso l’attuale legge, mentre qualsiasi altra legge elettorale segnerebbe la sua fine. Infatti, in ogni caso, il Pdl e il Pd sono e saranno alternativi anche se il sistema di alleanze dell’uno e dell’ altro oggi sono in crisi. Dedichiamo un’ultima considerazione a due personalità che consideriamo entrambe di alto livello e potenzialmente «amiche», cioè a Pier Ferdinando Casini e a Roberto Maroni. Le differenze all’interno stesso del Pd, e fra questo e l’Idv e la Sel sono enormi, ma non pesano sulla campagna per le amministrative e possono anche essere superate di qui alle Politiche.
Invece le differenze fra il Pdl, l’Udc, la Lega finora stanno svolgendo un ruolo negativo per le amministrative. Ora Casini e Maroni possono essere abilissimi sul piano tattico, ma possono anche rischiare di commettere un gravissimo errore strategico: per un eccesso di schermaglie tattiche specie nei confronti del Pdl alla fine possono finire di consegnare il governo del Paese alla sinistra.
Allora tutte le forze moderate e riformiste di centrodestra, Pdl in testa, devono fare i conti anche con gli errori commessi, ma fra l’autocritica e il suicidio c’è una notevole differenza.Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl
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