Il centro è un bugia con troppi nomi. È una dimensione del consenso che al momento tende a ripetere una moltitudine di zeri con la caratteristica di guardare a sinistra e la vocazione a escludersi l'uno con l'altro, quasi fosse la rappresentazione politica di una profonda legge matematica per cui qualsiasi numero moltiplicato per zero fa comunque zero. Tutto questo però non raffredda il fermento dei centristi che da Nord a Sud si muovono intorno al Pd con la speranza di raccogliere voti vaganti e la scommessa di prendersi lo spazio vuoto lasciato dai Cinque Stelle di Conte in crisi costante di identità. Il resto si prova a raccoglierlo in una competizione indeterminata con Forza Italia, non capendo di avere una massa inferiore al partito di Berlusconi. La tendenza dei «centrini di sinistra» è di raccogliersi intorno a centri territoriali, una sorta di notabilato comunale o provinciale che per ora fatica ad avere un ruolo nazionale.
L'ultimo esempio è il progetto che sta mettendo su l'uomo del fisco, Ernesto Maria Ruffini. L'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate ha scelto di uscire allo scoperto, avventurandosi nell'arena politica con la speranza di ricostruire qualcosa che assomigli all'Ulivo, spostando indietro le lancette della storia e di fatto togliendo passato a quello che si chiama Partito Democratico. Il Pd è infatti l'approdo veltroniano della prima esperienza politica del centrosinistra. Non è un caso che intorno a Ruffini riappaiono i nomi di Romano Prodi, Graziano Delrio e perfino Pierluigi Castagnetti. La casa di partenza è l'area bolognese, la rivendicazione culturale è un pezzo di storia della sinistra democristiana, con un cattolicesimo sociale come punto di riferimento. Il senso politico è una sorta di ritorno al futuro, con un po' di nostalgia e l'intenzione di spostare il baricentro del Pd della Schlein. Il problema è che c'è parecchia concorrenza, perché poi Ruffini dovrà fare i conti con altre maschere della commedia dell'arte. Non c'è infatti solo Balanzone, ma da Milano arriva il meneghino Giuseppe Sala, con la sua tecnocrazia autoritaria della metropoli chiusa e intollerante. C'è il centro di Matteo Renzi, che porta Stenterello in un'illusione rinascimentale. C'è Carlo Calenda che quando è di buona fa Rugantino e se gira male è Capitan Fracassa.
Il centro più fragoroso e pulcinellesco resta chiaramente quello di Vincenzo De Luca, in cerca di un terzo mandato che rivendica a furore di popolo, diritto divino e volontà della nazione. La poltrona in ogni caso gli spetta. Tutti questi centri carnevaleschi sembrano destinati a non incontrarsi mai. Quello che conta è lo spettacolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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