La strategia è semplice, eppure corrosiva. Da quando ha scalato i vertici del Partito democratico, Matteo Renzi non ha fatto altro che alzare il livello dello scontro, un pressing costante e sfinente su Palazzo Chigi per arrivare gradualmente alla caduta di Enrico Letta. Se non è la richiesta di accelerare sulle riforme, è la presa di distanza dalle mosse del governo: il neo segretario piddì non ne lascia più margini di manovra al premier. Fino a ricordargli, in una intervista alla Stampa, di non aver niente in comune con lui e con il suo vice Angelino Alfano. Una presa di distanza che mette una pietra sopra la premiership di Letta che, stando a un retroscena pubblicato dal Corriere della Sera, avrebbe iniziato a valutare la possibilità di cambiare la squadra di governo, in concomitanza con la firma del contratto di coalizione. Potrebbe essere questa l'occasione per dare un segnale di discontinuità facendo fuori figure tecniche come il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni o il Guardasigilli Annamaria Cancellieri.
I toni si stanno scaldando. I renziani non nascondono più i propri maldipancia nei confronti di un esecutivo che non solo non ne ha mai imbroccata una, ma che nelle ultime settimane ha inanellato una serie di pasticci e figuracce da farsi ridere dietro da tutti. Proprio per questo dalle colonne della Stampa Renzi ci tiene a ricordare di essere "totalmente diverso" da Letta e Alfano. "Le cose bisogna raccontarle per come stanno - spiega - Enrico è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente. Alfano al governo ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze". Il segretario del Pd sventola in faccia al premier il "mandato popolare" che gli è stato conferito alle primarie dell'8 dicembre lasciando intendere che il governo in carica non è stato voluto dagli italiani, ma dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una differenza non da poco che, con l’anno nuovo, intende far pesare il più possibile. "Si passa dalle chiacchiere alle cose scritte", assicura indicando il job act e le riforme come "i due temi capitali" su cui confrontarsi. L’idea di Renzi è di continuare a sostenere il governo, a patto che faccia quel che deve: "Potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta...".
Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di rimpasto. Lo ha chiesto a gran voce l'ex premier Mario Monti, lo hanno lasciato intendere alcuni renziani. Il sindaco di Firenze, a suo dire, non vuole sentirne parlare: "Quella parola non l’ho mai pronunciata e mai la pronuncerò". "Non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle - assicura - chiedo solo che si cambino stile e velocità nel governo". Epperò di rimpasto continua a parlarsi. Da Palazzo Chigi fanno sapere che "la squadra non si cambia". Tuttavia, stando a quanto riporta il Corsera, Letta ci starebbe pensando su: "Si parlerà di tutto a gennaio con il contratto di coalizione". Intanto, nei corridoi dei palazzi capitolini, iniziano a girare i nomi dei "rimpastabili". Stando all'Huffington Post, nella black list di Letta sarebbero finiti il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e il collega allo Sviluppo economico Flavio Zanonato. Non sela passa bene nemmeno ma anche Massimo Bray (Beni culturali) che, dopo l'ultima sconfitta di Massimo D'Alema, è rimasto senza referenti politici. Ma i nomi di peso si guardano tutti dal farli ad alta voce. In primis, la Cancellieri, ancora sub iudice per l'affaire Ligresti. E, poi, Saccomanni, inviso sia a Renzi sia ai sindacati. Due nomi che continuano a passare sotto traccia, sebbene il malcontento sia generalizzato.
"E non solo perché Saccomanni lo ha messo e lo vuole lì lui, Napolitano, come la Cancellieri, peraltro – spiega un ministro all'Huffington – ma anche perché, poi, chi ci mettiamo, al posto suo? Monti? Ma suvvia!".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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