Il Pdl assiste al disastro rosso: "Per il Paese è una tragedia"

Verdini sferza il Pd: "Noi leali, ci hanno proposto un nome e lo abbiamo votato". E la Santanchè avverte: "Se Bersani non confermasse Marini, sarebbe il caos"

Capanello del Pdl durante il voto del capo dello Stato
Capanello del Pdl durante il voto del capo dello Stato

Roma - È il delitto perfetto. L'omicidio politico senza premere il grilletto. Il Pd fatto a pezzi dalle proprie mani. «Per noi è un successo, ma per il Paese è una tragedia», commentavano però i più responsabili del Pdl all'uscita dalla votazione della mattina alla Camera, che ha spaccato i democratici e bruciato Franco Marini presidente. «Noi siamo stati leali, ci hanno proposto un nome, lo abbiamo trovato condivisibile e lo abbiamo votato - chiarisce Denis Verdini, a lungo a colloquio a Montecitorio con Casini - ora aspettiamo il Pd. I problemi con i numeri sono i loro». Franchi tiratori nel centrodestra? «Assolutamente no». O al limite meno delle dita di una mano. Lo psicodramma, insomma, non abita nella casa del Pdl: «Noi stasera si va a cena», spiegava il coordinatore, notando con un sorrisetto che nel cortile di Montecitorio non si vedeva più anima del Pd. Tutti riuniti a contarsi e a strapparsi i capelli. Il Pdl senza Berlusconi volato a Udine si è invece confrontato a ranghi ristrettissimi e per pochi minuti, proprio nel cortile: Verdini, Santanchè, La Russa, Crosetto, Fitto, Schifani. Nessuno, prima dello scrutinio, immaginava una spaccatura simile nei democratici: «Marini è un presidente di pacificazione e un presidente di tutti», confermava Santanchè. «Se Bersani dovesse fallire, sarebbe il caos».
Poi tutto si è sfasciato: l'accordo, il nome, la possibilità di un voto condiviso. Ma c'è una parte del Pdl che in Marini ci crede ancora. Primo fra tutti il capogruppo Renato Brunetta. È lui che ieri si è incessantemente speso per l'ipotesi di Marini anche oltre la sconfitta, verso la quarta votazione. «È troppo, è accanimento terapeutico», commentava l'ala più scettica. L'ex presidente del Senato ha ottenuto comunque «la maggioranza assoluta», la valutazione di Angelino Alfano, ripetuta da molti esponenti del Pdl.
Nell'ombra, però, c'è sempre lo spettro di Romano Prodi. Il sospetto di una terribile alleanza Pd-Movimento cinque stelle. «Se fanno Prodi presidente cambiamo Paese», s'infervora Nunzia De Girolamo». Poi, più concreta: «Andiamo subito alle elezioni». Mantenere il nome di Marini è l'unica strada per Bersani, secondo Osvaldo Napoli, «altrimenti si deve dimettere ora». E D'Alema? «Abbiamo detto di sì una volta - taglia corto Verdini - e non mi pare che sia andata tanto bene. Marini non era mica il nostro candidato». Se il Pdl avesse preso lo 0,37% in più di voti del Pd «a quest'ora il presidente della Repubblica era Berlusconi». E chissà cosa accadrà in futuro, se cambierà il metodo di elezione.
Ieri in Transatlantico si ragionava anche su questo. Tra le riforme che i saggi stanno studiando c'è il presidenzialismo, con l'introduzione dell'elezione diretta del capo dello Stato da parte dei cittadini. L'impianto di riforme richiederà almeno due anni di lavoro, ma il successore di Napolitano potrebbe non essere un presidente di sette anni, ma di due o tre. «In teoria sì, speriamo», il commento di un alto dirigente del Pdl.
L'impellenza però ora è trovare un presidente per un Paese senza governo.

Tra i nomi che circolavano nei capannelli del Pdl, quello di Pietro Grasso, considerato unica vera valida alternativa a Marini. Ieri Velina Rossa, giornale vicino a Massimo d'Alema, ha lanciato Mario Draghi: «Io rimarrei alla Bce», il commento asettico di Verdini. E poi c'è sempre D'Alema. Comunque meglio di Prodi.

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