Sull'onda degli scandali per l'uso "allegro" dei fondi pubblici (prima il caso Lusi, poi quello della Lega), qualcuno è tornato a chiedere di abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Un tema, a dire il vero, già dibattuto: nel 1993 gli italiani con un referendum abolirono il finanziamento pubblico ai partiti (vinse il sì con il 90,3% dei voti). E il finanziamento sparì. Non passarono anni ma solo pochi mesi e ricomparvero i "contributi per le spese elettorali". Con il passare del tempo aumentati a dismisura, tanto che le forze politiche incassano molto di più di quanto spendano: dal 1994 i partiti hanno incamerato circa 2,7 miliardi di euro pur avendo dichiarato spese elettorali per circa 700 milioni. Questa disparità appare incomprensibile: com'è possibile non strabuzzare gli occhi di fronte a un sistema assolutamente senza trasparenza che elargisce fondi a pioggia ai partiti? Qualcuno, difendendo il finanziamento pubblico, parla dell'inevitabile "costo della democrazia". E aggiunge che se non si danno soldi pubblici alla fine solo i ricchi possono fare politica. E' proprio così?
L'esempio degli Stati Uniti
In America la politica costa moltissimi soldi. Per eleggere l'inquilino della Casa Bianca scorre un vero e proprio fiume di denaro. Giocano un ruolo essenziale i fundraiser, i professionisti che operano nel delicato compito di raccolta fondi, da pochi dollari a centinaia e migliaia di bigliettoni verdi. Ci sono dei limiti (una volta era di 2.500 dollari) ma sono stati superati attraverso la recente sentenza della Corte suprema sui SuperPac, che di fatto ha tolto ogni tetto alle donazioni da parte delle aziende. Ma alla luce di questi elementi si può concludere che negli Stati Uniti fanno politica solo le persone straricche? Non è proprio così. I soldi servono, questo è chiaro, ma conta molto soprattutto l'organizzazione e, quindi, la capacità di raccogliere fondi. Non vince solo chi è più ricco, come un'analisi troppo semplicistica potrebbe indurre a credere...
Clooney e le cene pro Obama
Per andare alla strettissima attualità, ad esempio, George Clooney organizzerà nella sua casa di Los Angeles, il prossimo 10 maggio, una raccolta fondi per la rielezione del presidente Barack Obama. "Sono orgoglioso di fare il possibile per sostenere il presidente - ha detto al sito Entertainment News - a condizione che nessuno mi chieda di cantare". In due occasioni, ricorda il sito, Obama ha infatti dato prova del suo talento da cantante. Clooney ospiterà il presidente e circa 150 sostenitori, che pagheranno 40.000 dollari a testa per sostenere l’Obama Victory Fund, un conto comune della campagna elettorale del presidente e del Comitato nazionale del Partito Democratico. Una cena che porterà sei milioni di dollari, un bel gruzzoletto... Dall'altra parte il repubblicano Mitt Romney non sta a guardare. Ha già speso moltissimi soldi per primeggiare nelle primarie del suo partito, e altri ancora ne spenderà da qui alle elezioni del 6 novembre. Per vincere contano anche le piccole somme raccolte, le micro donazioni da 3 a 10 dollari, che sommate diventano una montagna di soldi. Su questo Obama è un maestro (l'ha dimostrato già nel 2008).
Qualcuno da noi storcerà la bocca guardando all'esempio degli Stati Uniti.
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