La protesta estrema del capo dei negozianti: era pronto a darsi fuoco

L'Aquila, il direttore cittadino di Confcommercio si barrica in Bankitalia con una tanica di benzina. Poi accetta di parlare con il prefetto

La protesta estrema del capo dei negozianti: era pronto a darsi fuoco

L'Aquila - Erano riuniti nella sede provinciale della Banca d'Italia, una costruzione in pietra bianca e grigia nel cuore dell'Aquila che ha resistito al terremoto. Rappresentanti dei commercianti e delle banche, un tempo alleati nel far girare i soldi e adesso belligeranti su trincee diverse. «Si parlava delle regole bancarie che entrano in vigore a febbraio e lì si è capito che andranno a scapito di negozianti, artigiani e piccole imprese», ha raccontato Angelo Liberati, presidente provinciale Fida-Confcommercio. Era poco prima di mezzogiorno. A quel punto Celso Cioni, direttore dell'associazione, si è alzato e se n'è andato.

Non è stata una decisione d'impulso. Cioni aveva pianificato un gesto eclatante, che attirasse l'attenzione del Paese sull'Aquila «terremotata e martoriata». Si è chiuso in un bagno dell'edificio con una tanica di benzina e un accendino, pronto a darsi fuoco se avessero tentato di sfondare la porta. Si è barricato con tutta la sua rabbia, l'esasperazione, l'impotenza. Una forma estrema di protesta contro il sistema del credito e anche contro il governo, che deve rivedere «le condizioni del sistema bancario almeno nei paesi del cratere e della città che è ancora militarizzata».

Sono state ore di panico all'Aquila, già scossa in questi giorni da un terremoto giudiziario che ha portato in carcere costruttori e amministratori e fatto dimettere il sindaco pd Massimo Cialente. Nel palazzo tra corso Federico II e piazza Duomo sono accorsi polizia, carabinieri e vigili del fuoco assieme a politici locali e rappresentanti delle categorie produttive. Il colonnello Savino Guarino, comandante provinciale dell'Arma, ha tentato di forzare la porta dell'antibagno ma Cioni ha minacciato di cospargersi di benzina e darsi fuoco.
In realtà la vera arma del direttore di Confcommercio non è stata la tanica infiammabile ma il telefonino. Dal chiuso del gabinetto Cioni ha parlato con i giornali e spedito mail con le ragioni del gesto. «Non ho paura di andare in prigione - ha detto in diretta a Radio L'Aquila 1 - questa è una giusta causa per finire dietro le sbarre. La mia è una protesta che può arrivare anche a un atto estremo». Cioni ha chiesto un provvedimento immediato a sostegno dell'economia del cratere, la zona più danneggiata dal sisma del 2009, con deroghe straordinarie per i piccoli imprenditori.

«Non è una protesta contro le banche - ha aggiunto -. Mi trovo qui perché la banca è l'emblema della mia protesta. Non è giusto che i commercianti paghino per colpe non loro. In migliaia vivono un incubo senza fine, colpevoli soltanto di essere nati qua, di voler esercitare il diritto al lavoro secondo l'articolo 1 della Costituzione, e il diritto alla libera impresa. Ditemi se è normale che in una città militarizzata esistano le stesse regole bancarie in vigore altrove». Cioni ha denunciato che i commercianti «sono costretti a lasciare i negozi senza ottenere alcun sostegno, hanno fatto debiti, sono disperati e le banche li tengono quotidianamente sotto pressione. Molti ricorrono a medici, psicologi e psicofarmaci».
Un grido di dolore esasperato. Cioni ha chiesto infine un contatto diretto con il governo. Ha ottenuto di parlare con il prefetto Francesco Alecci. È uscito dal bagno e ha negoziato.

Dopo oltre tre ore di tensione, davanti alle rassicurazioni del rappresentante del governo e alla mediazione delle forze dell'ordine, Cioni ha lasciato l'edificio da un'uscita secondaria. Ma l'allarme vero, quello sull'affanno di migliaia di imprenditori, non è rientrato.

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