Non lo fa per se stessa. Via, qualcuno ha mai pensato che Irene Pivetti possa fare qualcosa per se stessa? Tutta la sua vita è una fulgida parabola senza egocentrismo, senza narcisismo, senza il minimo egoismo. Anche stavolta, come sempre: questa faccenda dei privilegi tolti soltanto a lei e a Ingrao la vede da giorni impegnatissima sulle barricate. Annuncia persino un ricorso. Però dev’essere molto chiaro a tutti: lo fa soltanto per salvare posti di lavoro. Lo ribadisce anche nell’ultima intervista a Radio24: «Ci sono persone che vengono messe sulla strada solo perché qualcuno vuol farsi bello. Sono persone che guadagnano 600, 800, al massimo 1.000 euro al mese perché qualcuno deve far finta che il bilancio dello Stato venga risanato così. Non sarò io a fare il ricorso, lo farà chi lavora per la mia segreteria. Non posso permettere di veder mettere gente in mezzo alla strada. Voglio salvare questi posti di lavoro e li salverò». La Camusso? E chi sarà mai la Camusso: il movimento dei lavoratori ha trovato finalmente un leader che porta davvero la tuta. In lattice.
Dietro questo nuovo polverone, c’è almeno un dettaglio che può consolare il Paese: forse, sembra, pare che quanto meno la brava donna abbia finalmente deciso cosa fare della propria vita. Almeno per un certo periodo. Nel furore della battaglia di civiltà, riesce persino a sputare il rospo che più la opprime, chissà da quando: questa stupida battaglia contro la casta. È generosissima: non si fa in quattro solo per i suoi segretari, si batte per l’intera casta. «Sì, la lotta alla casta è una moda: chi sta a casa seduto si fa bello facendo finta di fare il giustiziere».
E diciamolo, una buona volta: giornalisti bacchettoni, pensionati sfaticati, casalinghe viziate, cassintegrati malmostosi, avete rotto con il vostro moralismo da osteria. Finalmente c’è la Pivetti a smascherare il grande piagnisteo nazionale: «Non ho particolare stima per i qualunquisti che individuano un bersaglio e gli sparano addosso senza informarsi».
Se la gente d’Italia non fosse così ipocrita, di sicuro scenderebbe in piazza per opporsi al vergognoso sopruso che toglie alla ex presidente i suoi soldi. Suoi della gente, non della Pivetti. Di più: se non si lasciasse ubriacare dalla demagogia, si sciacquerebbe la bocca prima di pronunciare il nome Irene e il cognome Pivetti.
Questo donnino, per chi l’avesse dimenticato, si oppone alla deriva qualunquista del popolo becero sin dalla più tenera età. A 31 anni, questa Giovanna d’Arco di Padania è già presidente della Camera, la più giovane della storia repubblicana. Anche quella volta, non è nemmeno il caso di specificarlo, per puro spirito di servizio.
Ripensandoci, bisogna riconoscere che in effetti già all’epoca si batte per difendere la casta. Che sarebbe lei. È il tempo della virtù e dell’intransigenza, nella morale e nei costumi. La presidente circola con permanente e foulard tipo Zia Sofia. È la sciureta che tutte le suocere vorrebbero avere come nuora. Forse. Certo è la pioniera di quella sobrietà che vent’anni dopo ci ritroveremo come stile di governo e come stile di vita. Però attenzione: a livello di sobrietà, la Pivetti del ’94 sta a Monti come i talebani stanno a Gandhi. Più o meno. La stagione del nostro burqa però dura poco: nel ’96 la Pivetti è già silurata dalla Lega, fine del trend.
Dopo la politica, che da sempre ci spiega come l’avesse inventata lei, si apre la stagione dell’amore, che pure ci spiega come se l’avesse inventato lei. Per un lungo tempo l’Italia segue con trepidazione la storia del suo matrimonio (anche quello: ce lo spiega come se noi non l’avessimo mai scoperto), il matrimonio unico e inarrivabile con il suo Alberto, dieci anni in meno, molto caruccio e molto devoto.
Anni intensi, sempre al servizio dei deboli. Il donnino che non conosce egocentrismo scopre in rapida successione nuove professioni (un giorno ci inventa pure la televisione, che prima di lei non esisteva), nuove avventure, nuove emozioni. È chiaramente un personaggio versatile e inarrestabile. Cambia idee, partiti, mestieri, look alla velocità di una centrifuga. Nata sciureta, ad un certo punto si ritrova dark lady, androgina e borchiata. Difficile tenerle dietro. Un paio d’anni fa, dopo averci rivelato quasi tutto, ci rivela persino il dramma della separazione dall’amato. Da come lo racconta, il dolore che prova lei non l’ha provato mai nessuno.
In tutti questi anni, che dal foulard e dalla permanente di Zia Sofia sono ormai quasi venti, noialtri connazionali l’abbiamo seguita con tanta misericordia. Ci sta che forse non l’abbiamo mai capita fino in fondo. Però anche lei, adesso, mentre sbrocca contro il taglio dei privilegi, si dimostra quanto meno ingrata nei confronti dell’opinione pubblica.
«Non ho particolare stima per i qualunquisti che individuano un bersaglio e gli sparano addosso senza informarsi»: obiettivamente, è ingenerosa. Presidente, dovrebbe solo ringraziare: pensi cosa sarebbe di questa sua battaglia, se la gente si informasse davvero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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