Roma - Nell'eterno derby del vino, è l'anno dell'Italia. Il nostro Paese si prende una piccola rivincita sui cugini d'Oltralpe che ci tengono in scacco su altri fronti economici (vedi Alitalia) superandoli nella vendemmia 2013. Secondo Coldiretti con una produzione stimata di 45 milioni ettolitri (+2 per cento rispetto allo scorso anno) superiamo la Francia ferma a 44 (e la Spagna a 40). E le buone notizie non finiscono qui. La qualità media della produzione è in crescita, con oltre il 40 per cento della materia prima destinata ai 331 vini Doc o Docg, il 30 per cento ai 118 vini Igt e il restante 30 per cento a vini da tavola. L'Italia fa segnare anche uno storico record dell'export, che raggiunge per la prima volta i 5 miliardi di euro (+9 per cento), grazie soprattutto a un exploit negli Usa (+10 per cento), in Russia (+10) e Australia (+24).
La vendemmia 2013 segna un ritorno alla normalità nel calendario, con due settimane di ritardo rispetto all'anno scorso grazie a temperature estive più umane e a escursioni termiche che hanno garantito una più lenta ma ideale maturazione delle uve. Al punto che in alcuni territori la vendemmia è ancora in corso: «Siamo a circa metà della raccolta delle uve destinate allo Sfursat», spiega Claudio Alongi della cantina valtellinese Nino Negri del gruppo Giv. In Campania i grappoli di Aglianico destinato all'austero Taurasi sono per lo più ancora sulle piante. E anche sull'Etna solo in questi giorni si sta procedendo alla vendemmia dei «cru».
Naturalmente il primato quantitativo può essere una vittoria di Pirro se la qualità non è all'altezza. E la vendemmia 2013 non sembra avere le stimmate della leggenda, Più quattro stelle che cinque. Un giudizio dai contorni incerti a causa dei tempi diluiti e del fatto che i grandi vini sono valutati con i tempi della storia e non della cronaca. Winenews, il più importante portale italiano di notizie sul vino, ha intervistato esponenti dei più grandi territori italiani, che hanno tracciato un bilancio con più luci che ombre. In Piemonte «i primi Nebbiolo sembrano buoni. Colpisce specialmente l'elevata acidità che potrebbe indicare una buona propensione all'invecchiamento», dice Francesco Versio, enologo di Bruno Giacosa. «Sembra una vendemmia per vini più di finezza che di potenza e ritardata come negli anni Ottanta», si sbilancia Franco Allegrini, che guida l'omonima azienda leader in Valpolicella. «Potrebbero uscire grandi vini da Riserva, come nel 1964 o nel 1988, destinati a durare molto a lungo», dice Jacopo Biondi Santi, dell'azienda che ha «inventato» il Brunello di Montalcino. «Si prospetta una buona vendemmia. I primi Aglianico cominceremo a raccoglierli nella prima decade di novembre, poi toccherà ai cru. Sono decisamente fiducioso», riassume Piero Mastroberardino, patròn dell'omonima azienda campana. «Non si può considerare una vendemmia a cinque stelle, è un'annata senz'altro più diluita, ma è molto interessante per freschezza e aromaticità, con vini che dovrebbero affrontare bene l'invecchiamento», dice Francesco Cambria, enologo di Cottanera.
Quel che è certo è che il futuro del vino italiano è autoctono.
Una ricerca dell'Istituto marchigiano di tutela vini e Università politecnica della Marche sulle sei più importanti guide specializzate evidenzia che il 76 per cento dei vini bianchi premiati è a base di vitigni autoctoni, con il Verdicchio che spicca davanti a Fiano, Sauvignon (primo tra gli internazionali), Soave e Friulano (l'ex Tocai). La strada è questa. Prosit.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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