Illustre Direttore Feltri,
forse potrà apparire di cattivo gusto fare una considerazione come quella che mi accingo a fare ma qualcuno dovrà pur avere il coraggio di ammetterlo, anche a costo di risultare politicamente scorretto o, peggio, un vero e proprio stronzo. Non ne posso più ma proprio non ne posso più di sentire parlare e di leggere solo e solamente di guerra, guerra e ancora e sempre guerra. Basta. Siamo saturi. Siamo pieni. Anzi ne abbiamo colme le scatole. Accendo la tv al mattino e si parla di guerra, su tutti i canali. Apro i giornali e ancora si discute di guerra, dalla prima all'ultima pagina di tutti i quotidiani, di destra e di sinistra. Non c'è scampo. Ora io capisco che l'argomento è serio, che merita attenzione, che non possiamo ignorare quello che accade a Gaza, che quello che avviene laggiù ci riguarda e bla bla bla. Siamo tutti d'accordo. Ma anche che palle! Sono un mostro?
Luca Lorenzini
Caro Luca, no, non sei affatto un mostro, sei semplicemente un essere umano che ha il coraggio di dichiarare quello che pensano tutti. E lo penso anche io: l'appiattimento di giornali e televisioni sulla guerra è qualcosa di soffocante e ammorbante. Ad essere asfissiato è il respiro della informazione che dovrebbe essere ampio, che non dovrebbe concentrarsi soltanto su un tema, per quanto urgente, grave e allarmante questo possa essere.
La vita delle persone è fatta anche di altro, ma di vita non si legge più sui giornali, ossia di argomenti che possano riguardare da vicino i cittadini. Si rischia in tal modo di allontanare la gente per essersi resi repellenti. E poi ci lamentiamo del fatto che le persone non leggano più e non guardino nemmeno la televisione. Grazie al cavolo, direbbero ad Oxford
Questa tendenza ad imprimere un ritmo martellante e monotono alla informazione si è imposta soprattutto durante la pandemia e a me pare che sia stata mantenuta anche dopo la fine della pestilenza. Da quella narrazione massiccia e invadente, fatta di bollettini continui, consigli di questo o quell'esperto, conferenze stampa quotidiane (chi di noi ha dimenticato quelle dell'allora premier Giuseppe Conte? Vorremmo scordarle, eppure non ci riusciamo), siamo saltati repentinamente alla stessa modalità narrativa applicata però al conflitto in Ucraina, ora passato in secondo piano rispetto a quello esploso in Medio Oriente il 7 ottobre scorso con l'attacco di Hamas contro Israele.
Il rischio non è solamente quello di triturarsi gli zebedei. Questo sarebbe nulla, su. Il vero pericolo è quello di assuefarsi a questa atmosfera di morte, a questo clima opprimente, a questo sangue, a questa macelleria, a questa tensione, tanto che poi nulla ci fa più effetto. Ci si abitua a tutto, persino all'orrore. Fino ad anestetizzarsi.
Come se ne esce? Di sicuro è indispensabile allargare lo spettro della informazione, ovvero non costringerla né castigarla con la faccia rivolta verso il muro, immobilizzata tra i paletti di una unica tematica commentata in tutte le salse e vista da qualsiasi angolazione, anche perché, alla fine, tutti ripetono le medesime cose, almeno vi fosse un minimo di originalità, neppure questa!
Non si racconta più il costume, ad esempio. È ritenuto ambito marginale, da snobbare se si intende fare carriera in un giornale, robaccia o robetta. Invece poi scopriamo che gli articoli più apprezzati, più letti, più condivisi, più discussi sono quelli che aprono uno spiraglio sulle nostre esistenze, una riflessione, o che si occupano di animali.
Non è sufficiente questo segnale per comprendere che la gente non vuole
sapere soltanto di guerra? Sembra che non lo sia, purtroppo.Ciao, Luca, e mi raccomando: continua ad esprimere i tuoi pensieri in totale libertà. Scoprirai con sorpresa di non essere l'unico a vederla in un determinato modo.
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