Il venerdì magro dei sindacati

Il venerdì dello sciopero è la nuova frattura sociale tra chi scappa e chi rimane

Il venerdì magro dei sindacati
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Il canone Landini comincia ad avere qualcosa di metafisico o, perlomeno, di rituale. La Cgil insegna il senso del sacrificio. È per questo che tutti i venerdì che Dio manda in terra c'è uno sciopero a ricordarci che dobbiamo morire. È il venerdì magro della nuova religione sindacale, che da tempo ha perso contatto con le cose terrene ma in una sorta di nuovo millenarismo trova un senso alle giornate di mobilitazione sociale. È in fin dei conti una abitudine antica, che serve a creare comunità e sofferenza. È la legge del digiuno e dell'astinenza. Il venerdì non si mangia carne. La Chiesa ti dice che non è un peccato mortale se non rispetti il precetto, ma resta una lezione morale. È disciplina. È forza e costanza. È un piccolo gesto in attesa di una ricompensa più grande. Ecco, Landini e tutti i sindacati santi subito si muovono lungo la stessa linea. Il venerdì è il giorno del disagio, quello che i ministri miscredenti si ostinano a precettare. È il venerdì delle metropoli paralizzate, dopo ogni passo è una meditazione o una bestemmia. È la partenza impossibile, la festa del caos, la vaporizzazione della protesta operaia che non ha più nulla di reale ma alza a strumento simbolico non la rivendicazione sindacale ma la rottura di scatole istituzionalizzata. Il venerdì come bivio: c'è chi allunga il fine settimana e chi resta bloccato perché non è stato previdente.

È la nuova frattura sociale tra chi scappa e chi rimane, solo perché «con una deca non si può andare via». Il venerdì è l'ultima certezza in una settimana che non ha più giorni rossi, con la domenica senza il sacro e il sabato senza ideologie. Amen.

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