IO, PAPÀ CHE ORA VIVE DI DOLORE

Caro dottor Lussana, anzi, caro Massimiliano, mi prendo questa confidenza perché, come scrivi tu, sono di «famiglia», della vostra-nostra famiglia. Ti scrivo queste righe innanzitutto per ringraziarti del delicato ricordo di Michele e poi per arrivare, tuo tramite, ad Enrico, papà di Filippo. Purtroppo non conosco la loro storia, non so se è finita o meno sui giornali, ma non fa molta differenza, perché, per ragioni che puoi ben immaginare, non sono in grado di approfondire questo genere di notizie; è sempre stato difficile, perché come per tutti anche per me la morte di un bambino, di un ragazzo, di un giovane uomo, ma in generale di un figlio prima del suo genitore, mi è sempre sembrata, prima che atroce, contronatura.
Eppure non passa giorno, non passa ora o minuto che da qualche parte nel mondo non muoia un giovane, un ragazzo, un bambino.

Muoiono per un incidente, malattia, incuria, cattiveria, disperazione o per incredibile fatalità, come Michele. Muoiono per la guerra, al lavoro, a scuola, sulla strada, in vacanza. E sempre lasciano dietro di loro scie di dolore, sulle quali i loro cari (...)

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