A distanza di 24 ore, atterrano a Milano due super-pianisti, uno francese e l'altra italiana: Alexandre Kantorow e Beatrice Rana, il primo è atteso stasera alla Scala e la seconda domani in Conservatorio, per la Società dei Concerti. Kantorow (1997) e Rana (1993) sono venuti alla ribalta azionando la leva più efficace ma anche più crudele che vi sia: il concorso. Kantorow a 19 anni vinceva il «Cajkovskij» di Mosca, strappando pure il «Grand Prix», assegnato solo tre volte nella storia della gara; di fatto già calcava le scene, anche al seguito di orchestre e bacchette di rilievo; Valery Gergiev se lo portò in giro nel mondo prima di essere bannato causa ipocrisie di certo Occidente. Il fenomeno Rana esplodeva con la medaglia d'oro al Concorso di Montréal e l'argento al Van Cliburn. Oggi i due concertisti sono tra le punte del pianismo fatto di scavo interpretativo e di tecnica al servizio dell'interpretazione, qualità tutt'altro che scontate in questi nostri tempi inclini a un perfezionismo esasperato: quello che toglie l'anima alle esecuzioni, alla fine tutte uguali.
Forse negli occhi abbiamo l'immagine di Kantorow che, sotto la pioggia battente della cerimonia d'apertura delle Olimpiadi di Parigi, suona ispirato «Jeux d'eau» di Debussy, «Giochi d'acqua» (il titolo) anche fuor di metafora. Quella pioggia che qualche minuto prima aveva risparmiato l'apparizione vintage di Lady Gaga. Per l'appuntamento milanese, Kantorow eseguirà due Raposdie, l'una di Brahms e l'altra di Bartok, pagine di Liszt, la prima Sonata di Rachmaninov e la «Ciaccona» di Bach, rivisitata da Brahms. Interpretazioni, le sue, dalla forte personalità, fuori scala e che dividono: altro punto a suo favore. Cresciuto in un famiglia di musicisti, il prode Alexandre è francesissimo: non traggano in inganno il cognome e neppure la scelta del repertorio, in parte inciso per l'etichetta BIS.
Beatrice Rana raggiunge la Sala «Verdi» (ore 20,45) con l'Orchestra Haydn condotta da Michele Spotti, direttore musicale a Marsiglia. Il programma è francese dalla prima all'ultima nota, si apre con «Pavane pour une infante défunte», segue il Concerto in sol per pianoforte di Ravel, e la Sinfonia in do maggiore di Bizet. Rana è italianissima, ha studiato in Puglia, perfezionandosi in Germania, è accasata a Roma, ma per il management si è affidata alla Francia, perché ahimè mancano nel nostro Paese agenzie potenti internazionalmente, con le spalle abbastanza larghe per farsi ascoltare dai vertici di sale e teatri stranieri. Dopo il vuoto lasciato dai pianisti della generazione dei baby boomers e millennials, è grazie a quest'artista che il nostro Paese è tornato nella serie A del pianismo mondiale. Raggiunge la città di Maurizio Pollini, colui che, dice Rana, «ha cambiato la storia della musica, e non solo italiana, penso anzitutto all'estrema serietà e rigore delle interpretazioni, cifra applicata a tutto il repertorio. Portare, come fece lui, certe pagine alla Scala è stata una rivoluzione».
Solo due settimane fa, sempre per la Società dei Concerti, è stato festeggiato un debutto carico di futuro. Alludiamo al recital della pianista diciassettenne Alexandra Dovgan: russa, ora a Malaga, pupilla di Sokolov che la segue e garantisce per lei. Sta costruendo carriera e pianismo lontana dai concorsi, già ben salda nel circuito di serie A, con recital a Verbier, Salisburgo, sale europee di prestigio.
A Milano ha conquistato il pubblico con quel suo pianismo già maturo in tanto repertorio, Rachmaninov e Schubert esemplarmente, mentre per gli struggimenti di Schumann e la classica forma di Beethoven dobbiamo ancora aspettare.
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