Keaton, Daniels e Carradine Cercasi film disperatamente

Che fine hanno fatto? Erano (sono) attori bravi, eclettici, attorno ai cinquanta: un tempo ingaggiati per ruoli da protagonista, corteggiati dalla critica e dai produttori, oggi un po' dimenticati, relegati ai margini dall’industria, costretti ad accettare parti in film di serie B o comparsate in tv, a prestare la voce nei cartoni animati. Quattro nomi, tra i tanti possibili: Michael Keaton (da Pittsburgh, classe 1951); Matt Dillon (da New Rochelle, classe 1964), Matthew Modine (da Loma Linda, 1959), Jeff Daniels (da Athens, 1955). Non capita sempre. Alcuni divi star agée, da Richard Gere a Mickey Rourke, dopo qualche tonfo, hanno saputo riciclarsi, differenziando le partecipazioni, facendosi reclutare dal cinema indipendente che va ai festival. Ma la macchina industriale può essere molto cattiva, liquidatoria. Ne sanno qualcosa Keith Carradine (indimenticabile sciupafemmine in Nashville) e Christopher Lambert, «condannati» a girare filmetti e filmacci dopo gratificanti stagioni in prima fila.
Il caso di Michael Keaton è il più sorprendente. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, grazie ai due Batman di Tim Burton, era al top. Non alto di statura, il labbro irregolare, i capelli sempre corti a mitigare la stempiatura, Keaton aveva dovuto vincere la diffidenza dei fan del fumetto, pronti a inondare la Warner di lettere di protesta. Non piaceva che fosse un comico a incarnare il giustiziere di Gotham City. E tuttavia Burton aveva visto giusto nel riconvocare l'attore di Beetlejuice. Spiritello porcello. Il Batman di Keaton, dolente e problematico, surclassa quelli di George Clooney e Val Kilmer; anche il recente Christian Bale non regge il confronto. «Quirky, inventive and handsome» (spiritoso, inventivo, di bell'aspetto), lo descrive la critica Usa, e lui, che di cognome fa Douglas, poi cambiato in Keaton in omaggio all'attrice e per non essere confuso con Michael Douglas, fu subito arruolato dalle majors. Sbirro o alcolizzato, giornalista o padre di famiglia, non deludeva. Lo ricorderete nello strappalacrime My life. Questa è la mia vita, accanto a Nicole Kidman. Sabato sera su Retequattro è passato un suo film del 2002, Quicksand, girato con Michael Caine. Un poliziesco mediocre, la solita storia dell'onesto americano a Nizza incastrato dalla mafia russa. Dopo non è che abbia fatto tanto di meglio. A parte White noise, un thriller soprannaturale nel quale parla coi morti, chi ricorda Herbie. Il supermaggiolino, Una teenager alla Casa Bianca, Sfida per la vittoria? Nel 2008 è uscito, in America, The merry gentleman. Fa, tanto per cambiare, un detective mezzo alcolizzato.
Il discorso vale anche per Matt Dillon. Euforicamente lanciato come l'erede di James Dean all'epoca di Rusty il selvaggio, l'attore di origine irlandese (secondogenito di sei figli, cresciuto in una tranquilla famiglia cattolica) visse con qualche trauma il successo in giovanissima età, specializzandosi in ruoli da bello e impossibile, sexy, a tratti anche un po’ fessacchiotto. Col tempo ha saputo ritoccare la propria immagine, cimentarsi con registri diversi, ma è dura. Pure lui s'è ritrovato accanto a Keaton in Herbie. Il supermaggiolino. E, con l'eccezione del notevole Crash di Paul Haggis, dove cesella un poliziotto razzista, non si può dire che i suoi ultimi film abbiano lasciato traccia: Factotum, Tu, io e Dupree, Loverboy...
Un altro bello e bravo che meriterebbe di meglio è Matthew Modine (si pronuncia con la «i», non Modain). Alto, capelli folti, un viso espressivo, da eroe problematico o anche sbruffone, l'attore californiano partì col vento in poppa. Streamers di Altman, Birdy. Le ali della libertà di Parker, Un ostaggio di riguardo di Pakula, soprattutto Full metal jacket di Kubrick, America oggi di nuovo con Altman. Da qualche anno l'Italia sembra averlo adottato: in queste ore è ospite a Capri-Hollywood, a ottobre era al Festival di Roma accanto a Caterina Murino per l'invedibile Il giardino dell'Eden (ne approfittò per fare un po' di pubblicità allo stilista Vic Matiè), a Cinecittà ha girato il tormentato Go-Go Tales di Abel Ferrara. Per esser bravo, è bravo. Ma fatica a trovare occasioni.
Infine Jeffrey Warren Daniels, più noto come Jeff Daniels, attore, commediografo e musicista. Se il nome dirà poco, il suo volto è infisso nella memoria degli spettatori: era il divo che usciva dallo schermo in La rosa purpurea del Cairo, lo scienziato di Aracnofobia, lo yuppy intortato da Melanie Griffith in Qualcosa di travolgente.

Sempre biondo ma non più magro, s'è riciclato come ambiguo killer in Debito di sangue, dove rovina la vita di Clint Eastwood. George Clooney l'ha voluto in Good night, and good luck, ma i tempi d'oro sembrano essere volati via per sempre. Uno dei suoi ultimi film, del 2006, si intitola Vita da camper.

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