Sacrifici e recessione. Anche senza tener conto dei funesti presagi del calendario Maya, di sicuro il 2012 sarà un annus horribilis. Sotto il peso delle manovre finanziarie, dei rovesci dei mercati e della tardive (o mancate) risposte dell’Europa alla crisi del debito, si è dissolto anche quell’asfittico segno positivo che ancora compariva accanto al nostro Pil. Italia a crescita negativa, ossimoro economico che dà però bene il senso dell’affanno. Certificato ieri dal Centro Studi della Confindustria in un rapporto che non lascia molte speranze. Come un boomerang malevolo, la crisi appena superata dopo il disastro dei mutui sub prime, è di nuovo tra noi: -1,6% è l’agghiacciante stima confindustriale per l’anno prossimo. E i postumi della contrazione si faranno sentire fino al 2013, quando rimetteremo la testa fuori dall’acqua ma solo per «un recupero molto parziale» (+0,6%). Corrado Passera, invitato alla presentazione del rapporto, ne prende atto. E conferma: «Siamo in recessione, non ci possiamo più nascondere. Ci siamo di nuovo dentro, per cause non nostre - ha detto il ministro dello Sviluppo Economico - anche questa crisi viene da fuori» e in particolare dalla «pessima gestione» della crisi greca.
Il ministro non ha tutti i torti. Con una maggiore reattività dell’Europa davanti ai conti taroccati di Atene, forse oggi racconteremmo un’altra storia. O forse no. Perché questa double dip recession è in parte anche colpa nostra. Generata da fragilità tutte italiane; quelle stesse che nell’ultimo decennio hanno condannato il Paese a ritmi artrosici. Qui sta il punto. In fondo, l’essere finiti in recessione per cinque volte in 30 anni può anche essere fisiologico. E certo sarebbe stato sorprendente se l’Italia fosse riuscita a evitare la contrazione dopo aver sopportato manovre d’impronta recessiva.
Ma più che sull’immediato, occorre ragionare in prospettiva. Dice Passera: l’Italia ha «i numeri, le capacità, le energie, le basi per poter parlare di crescita». Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Il Paese ce la può fare, non siamo condannati a stare in recessione per i prossimi anni». Riassorbire i colpi presi non sarà però facile. Alla fine del 2013, saremo ancora tra i 5 e i 7 punti al di sotto dei livelli pre-crisi, dovremo sopportare una pressione fiscale pari al 53% del Pil e avremo un deficit occupazionale di 800mila lavoratori.
D’altra parte, a livello europeo, dei 6 milioni di posti di lavoro persi durante la crisi ne sono stati recuperati appena 1,5. I leader europei puntano infatti a tenere un nuovo vertice a Bruxelles il prossimo 6-7 febbraio per discutere soprattutto di crescita, competitività e occupazione. Il tempo a disposizione è poco.
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