Hillary Clinton ha cercato di contattare al telefono il ministro degli Esteri russo per 24 ore, senza successo. Sergei Lavrov, in visita in Australia, «non era apparentemente disponibile», ha fatto sapere un portavoce del Dipartimento di Stato americano. Alla vigilia della riunione del Consiglio di Sicurezza di ieri – ordine del giorno le violenze in Siria - il capo della diplomazia di Washington cercava una crepa per sfondare il fronte russo. Mosca, che ha il diritto di veto in Consiglio di Sicurezza, si oppone a una bozza di risoluzione sostenuta da Stati Uniti e Unione Europea, basata su una proposta della Lega Araba, che secondo le prime indiscrezioni di ieri chiede al raìs siriano Bashar El Assad di lasciare il potere al suo vice, nel tentativo di mettere fine alle violenze. In dieci mesi di rivolta, per le Nazioni Unite sarebbero state uccise 5.000 persone. Il regime di Damasco sostiene che almeno 2.000 membri delle sue forze di sicurezza sarebbero morti a causa degli attacchi dei manifestanti e di quelle che, secondo le autorità siriane, sono forze straniere e bande armate terroristiche.
Sergei Lavrov non è volato ieri a New York per sedersi tra i suoi colleghi e discutere il dossier siriano. A Palazzo di Vetro si è riunito invece il fronte diplomatico che spinge in favore di una risoluzione pesante contro il regime di Assad: Hillary Clinton e i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna, Alain Juppé e William Hague. Assieme a loro, Nabil Al Araby, il segretario generale della Lega Araba che, alla testa del Qatar e con il robusto sostegno dell’Arabia Saudita, dopo aver richiamato i suoi osservatori dalla Siria, chiede ora le dimissioni del raìs.
Secondo le prime indiscrezioni, la bozza di risoluzione, oltre a chiedere l’uscita di scena di Assad, esprime «un grande impegno al mantenimento della sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale in Siria», e sembra voler rassicurare Mosca, che teme lo scenario libico e un intervento armato: il documento escluderebbe l’uso della forza. Nonostante la robusta offensiva diplomatica, la Russia fino all’ultimo ha mostrato tutta la sua opposizione: il ministro Lavrov, in conferenza stampa da Sydney, dopo aver ammesso che il suo Paese ha continuato a vendere armi a Damasco («non sono usate contro i manifestanti», ha detto), ha dichiarato con sicurezza che «il Consiglio di Sicurezza non approverà mai l’uso della forza in Siria» e che «cambiare regimi» non è «la professione» di Mosca. Il suo vice, Gennady Gatlov, ha scritto su Twitter che la bozza di risoluzione porta «sulla via della guerra civile» in Siria.
La battaglia diplomatica non si placa e le violenze vanno avanti. A Damasco, le forze armate del regime hanno ripreso controllo dei sobborghi della capitale dove per tre giorni si era combattuto, e dove sarebbero morte secondo i dati dell’opposizione almeno 100 persone. E ieri, una delle maggiori offensive del regime era in atto nella periferia della città di Homs, secondo l’inviato della televisione satellitare Al Arabiya, che alle sette di ieri sera contava almeno 30 morti negli scontri. Nel prolungarsi di questo stallo tra diplomazia e violenze, un membro dell’opposizione siriana ha evocato scenari sanguinosi, molto simili all’epilogo libico.
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