Gli svizzeri non producono solo orologi a cucù, ma anche falli - eretti, imponenti - in legno. Così, almeno sembrano volerci dire i nostri vicini di confine che a Milano, nelle belle sale dell'Istituto Svizzero di piazza Cavour, espongono le opere di Peter Regli, artista (concettuale?) elvetico nato ad Andermatt, ma residente a New York. La mostra «Ages of smoke (RH NO 313, 2014)» esibisce le sculture lignee di Regli (un orso, una colonna, un tronco), tra le quali, appunto svetta un fallo ligneo altro 4 metri, ben modellato nelle sue forme principali ed elementari (scroto, asta, glande...).
Nella neolingua dei curator d'arte, Regli proseguirebbe «una ricerca sui limiti della scultura, intesa come disciplina fatta di pesi e di misure, di linee orizzontali e verticali, che azzardano composizioni simboliche inedite e sopportano pesi specifici monumentali». La mostra non a caso sarebbe «un nuovo capitolo sulla critica dell'architettura e sulla tradizione classica occidentale, un contributo sui simboli del potere e della sessualità nella storia dell'arte, a partire dall'elemento classico della colonna».
Ohibo! Ovviamente Regli ha un curriculum degno di nota e ha frequentato molti dei luoghi cool dell'art system internazionale. Ed è altrettanto consueto che gli artisti contemporanei giochino con gli ultimi tabù rimasti: sesso e religione, meglio se insieme. Operazione «dissacratoria» che peraltro non sconvolge ormai nessuno, né fa riflettere più di un disegno osceno vergato da mano sconosciuta sui muri.
Così dai peni di Mapplethorpe al fallo luminoso gigante del gruppo Voina, disegnato coi led su un ponte levatoio proprio di fronte al palazzo del Kgb a Mosca, ci siamo abituati anche a quell'organo che in epoca vittoriana ancora si chiamava, con larga perifrasi, «fastidio». D'altronde il fotografo Wim Delvoye tra il 2000 e il 2001 ha realizzato una serie di scatti ai raggi x che rappresentavano scene di amore orale ed autoerotismo, ma già in precedenza aveva strabiliato con ritratti ancora più spinti, ottenuti spalmando il rossetto intorno al fondo schiena e imprimendo la non semplice impronta sulla carta.
In realtà, fin dall'antichità figure falliche riempivano i templi romani. Solo che privati dello loro componente religiosa, divinatoria, oracolare, catartica, restano irrimediabilmente icone della carnalità.
Quello che più indispettisce non è dunque la sovra esposizione, quasi in pubblica piazza, di una statua come nel caso di Regli, semmai il mascheramento della critica che non ha il coraggio di chiamare con il proprio nome ciò che è manifesto, utilizzando ampie circonlocuzioni e l'abuso di figure retoriche (metafora, metonimia, sineddoche...) così da far credere che un semplice fallo sia un'opera d'arte, un simbolo, il processo di un pensiero, la volontà di una rivolta. Dopo il dito di Cattelan, siamo ben pronti al fallo di Regli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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