In tempi meschini di salutismo, sigarette elettroniche, divieti, «puff puff!» e insipidi svapori, è davvero un bene il ritorno di un libro così carico di tabacco, «coff coff!» e nuvole di fumo come l’illustre e illustrato volume Il libro delle Pipe che Dino Buzzati e Giuseppe detto “Eppe” Ramazzotti, cognati, molto amici e viziosi fumatori, scrissero a quattro mani e decine di boccate di fumo tra il 1934 e il 1935, durante lunghe serate milanesi. Un libro destinato a una curiosa e gloriosa vita editoriale.
Fu pubblicato solo dopo la guerra, nel 1946, dalla Editrice Antonioli in 325 copie numerate; poi fu riproposto dall’editore Aldo Martello nel 1966 in una bellissima edizione illustrata (quella prediletta dai bibliofili) e quindi, più di recente, da Giunti nel 1986 in una veste più economica. E che però ora riappare in un’edizione sontuosa da Henry Beyle (pagg. 226, euro 60, con 59 disegni e nove immagini applicate a mano) a cura di Lorenzo Viga nò, nome che per tutti i buzzatiani e buzzatologi è una garanzia.
Bene, bene. Ma di che libro si tratta? Visto che la risposta non è facilissima, prima diciamo qualcosa sugli autori. Per quanto riguarda Dino Buzzati, beh...
lui è Dino Buzzati. Firma illustre del giornalismo, nel 1934, quando si mette a lavorare al Libro delle Pipe, ha appena debuttato nel mondo letterario con Bàrnabo delle montagne, romanzo breve che narra di montagne, silenzi, atmosfere magiche... e da lì a poco darà alle stampe il suo secondo romanzo, Il segreto del Bosco Vecchio (1935), dove troviamo la sacralità della natura, animali personificati, saghe montanare e luoghi metafisici, insomma tutto quel coté fiabesco e antico che respiriamo, anzi aspiriamo, nel Libro delle Pipe... Per quanto riguarda invece Giuseppe “Eppe” Ramazzotti (1898-86), milanesissimo, era il cognato di Dino Buzzati, avendone sposato nel 1923 la sorella Angelina: ufficiale degli Alpini nella prima guerra mondiale, ingegnere chimico dopo la guerra, radioamatore (cercò anche di mettere su un’attività per produrre apparecchi radio, ma fallì), appassionato di scienze naturali e insigne zoologo (fu il più grande studioso mondiale di tardigradi, invertebrati microscopici ma schifosissimi) e soprattutto il maggiore collezionista in Europa di pipe. Arrivò ad averne 4mila, di tutti i tipi, fogge e materiali. Morì nel 1986 e venne sepolto, per sua volontà, accanto all’amico Dino, nella cappella di Villa Buzzati a San Pellegrino, Belluno.
E adesso parliamo del libro. Come disse, anzi dipinse René Magritte solo pochi anni prima, nel 1929, Ceci n’est pas une pipe, «Questa non è una pipa», anche Il libro delle Pipe non è propriamente un libro. Meglio: non è un semplice libro.
È molto di più. Magritte voleva dirci qualcosa a proposito del rapporto fra la realtà e il mondo dei segni. Buzzati e Ramazzotti provano a dirci qualcosa a proposito del rapporto fra la realtà e il mondo dei sogni. E così ecco qui un libro che è tante cose e nessuna. Un po’ raccolta di racconti (ogni capitolo sembra una novella ottocentesca), un po’ manuale di pipologia, un po’ catalogo – ci sono pipe per corsari, pipe diritte e ricurve, pipe da bagordi (ottime per quando si gioca a dadi), pipe da skiatori, pipe naturali, pipe cariche di ricordi gloriosi, pipe semplici, pipe prussiane, pipe inesistenti e pipe senzienti...
un po’ enciclopedia, un po’ gioco (a noi personalmente piace l’aspetto di raffinato divertissement per dandy aristocratici). E ancora: un po’ trattatello filosofico (ovviamente la pipa è una grande metafora della vita: qualcosa di piacevole, se presa a piccole boccate...), un po’ giostra di ricordi surreali e fantasmagorici e un po’ libro d’artista. I due autori, che erano anche ottimi disegnatori, decisero di intervallare le storie di pipe con una serie di illustrazioni arricchite da stravaganti didascalie: una sorta di narrazione dentro la narrazione. Buzzati, più letterato, si dedicò principalmente ai capolettera dei vari capitoli e agli sfondi d’ambiente, mentre Ramazzotti, più tecnico, si occupò dei disegni delle pipe. Anche se in verità, come amava ricordare lo stesso “Eppe”, Dino metteva mani anche lì, tanto da rendere alla fine indistinguibile la reale paternità dell’opera.
Come scrive Lorenzo Viganò nella preziosa postfazione, i due amici-cognati «mentre lavorano al libro fumano il tabacco italiano Trinciato forte, bevono grappa della valle del Piave e si divertono, tanto che a volte, travolti dalle storie che inventano, si dimenticano di scrivere». Crediamo sia andata esattamente così.
Ah, a proposito di scrittura. Importante. Buzzati e Ramazzotti si divertono così tanto a sovrapporre fatti reali a falsi racconti, dati scientifici a cronache favolose (si segnalano quelle relative alle pipe parlanti di Edimburgo, alla pipa più fumata del mondo o alle pipe suicide), notizie tecniche ad aneddoti folcloristici, rimandi colti a citazioni apocrife, eventi storici a bibliografie fantastiche, che decidono di inventare anche uno stile di scrittura fintamente ottocentesco, sapientemente ricostruito ad hoc, sfruttando un vecchio dizionario, il Vocabolario della lingua parlata del Rigutini del 1883, che dà al tutto una certa patina d’antan.
Per il resto, ovvio: la protagonista assoluta del libro è la pipa, sentita e descritta come «esimia manifestazione delle cose inanimate».
Ma ancora più straordinari sono i co-protagonisti che si prendono la scena delle varie storie: misteriosi fumatori dai nomi bizzarri, collezionisti fanatici, contrabbandieri, campanari invidiosi, giudici scandalosi, celebri studiosi, ladri, personaggi sconosciuti (nella tasca di uno dei quali, morto sulla statale di Vigevano per asfissia, fu ritrovata la pipa detta «dell’Innominato»), esorcisti, marajiah, soci di esclusivi circoli di fumatori, ammiragli eccentrici, colonnelli pazzi, donne fascinose con la pipa in bocca, dame «scandolezzate» e cani da caccia addestrati a rintracciare pipe...
Storie fantastiche, secondo il significato più buzzatiamo del termine, da ascoltare di sera, davanti a un camino, fumando una...
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