nostro inviato a Montale Rangone (Modena)
«Guarda mo là quanti girasoli che gli hanno messo al Lucianone. Ma sì, già che gli piacevano un sacco, i girasoli». Fa strano che un cimitero di campagna, diventi allimprovviso l'ombelico di un mondo a parte. Schietto e schivo, come questa gente. Che fa persino in fretta a fare il segno della croce per paura di rubare la scena, di far aspettare troppo chi sta dietro, in fila. E fa strano che lui, il tenore dalle cento e cento case, abbia deciso di traslocare qui, al piano terreno di una simil cappella di famiglia che, in realtà, null'altro è che un piccolo alveare di dodici loculi, protetti da un cancello in ferro battuto.
Imponente presenza in palcoscenico, Luciano Pavarotti, ammettiamolo, è un po' ingombrante anche da morto. Per sistemarlo nella tomba di famiglia, tra le cappelle dei Carani a sinistra e degli Alboni-Baraldi, a destra, i necrofori hanno dovuto avant'ieri fare un po' di spostamenti vari e lui, al pian terreno del suo nuovo domicilio, adesso è lì che occupa ben tre loculi. Ma sorride nella fotografia in bianco e nero scelta per arredare la tomba di marmo screziato marrone. Sorride sempre. Come capita con quelle ragazze dei cartelloni pubblicitari che, da qualsiasi angolazione, le guardi, ti sorridono. Sempre. E come potrebbe non sorridere visto che è in buona compagnia. Sopra di lui ci stanno già da cinque anni il padre Fernando e la madre Adele Venturi che se ne andarono a quattro mesi di distanza l'uno dall'altra. E poi, negli angoli, in cima, abitano un podi angioletti: tre bisnipoti e il piccolo Riccardo che avrebbe dovuto essere il fratellino di Alice partorita quattro anni fa da Nicoletta, ma che se ne andò durante il parto.
Sabato si è consumato il suo ultimo show sotto i riflettori del pianeta e oggi qui a Montale, appendice di Castelnuovo Rangone, il tempo sembra essere ritmato dalla stessa dolcissima armonia di quando lui, il figlio del fornaio Fernando, amante del bel canto e tenore dilettante, cominciava a salire le scale del pentagramma.
C'è il sole oggi. E al Bar Sport, duecento metri più in giù del cimitero, ci sono già due tavoli di gente che gioca a carte, e si fa già il primo bicchiere di lambrusco. Come piaceva fare a lui. Altrimenti che domenica del villaggio sarebbe, senza un bicchiere. Solo che oltre alla Messa, e al lambrusco, oggi prima o dopo la partita a carte, bisogna passare da lui. Dal Lucianone. Arrivano due pullman di turisti domenicali che fanno una deviazione sulla via del ritorno. Arriverà, poco prima che i cancelli del cimitero si chiudano, anche Nicoletta Mantovani, stessa camicia di seta verde che indossava sabato al funerale, con in braccio Alice. Orgogliosa di lasciare davanti alla lapide il suo secondo disegno con dedica speciale al papà.
Ma è il pellegrinaggio della sincerità e della semplicità quello che colpisce di più. Perché qui, almeno qui, i «mister ioloconoscevobene» non ci sono. Ci sono solo gli amici che vogliono mettere un fiore senza farsi riprendere dalle telecamere. E i ciclisti dilettanti che vanno su è giù per la Frignanese, per farsi le gambe in vista dell'allungo più faticoso del Cimone. Solo che loro, i corridori, scarpette e magliette sponsorizzate come fossero al Giro d'Italia, stanno due passi indietro dagli altri. Si inginocchiano e gli mandano un bacio da lontano. Poi via, in sella, verso nuove avventure. Perché ognuno, ha il suo Vincerò da coltivare nel segreto del cuore.
I girasoli di Nicoletta e Alice, i girasoli della figlie Cristina, Giuliana e Lorenza. Cè persino un cuscino di girasoli, accanto, nel piccolo famedio. Che come cittadino più illustre del paese accoglie, al momento, solo Fedozzi Alfredo: «saggio agronomo zootecnico, vero padre dei poveri», morto a 54 anni.
La corona di Napolitano, quelle delle massime autorità dello Stato e del principe Alberto di Monaco. Le guardano con aria distratta gli uomini e le donne di Montale Rangone. Piuttosto suscita curiosità un'altra corona di rose rosse, messa un po' in disparte, sulla parete opposta. Se non altro perché si fa fatica a sillabare quel nome difficile: Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, in esilio, come sta scritto sulla fascia che avvolge i fiori. Un'altra delle tante, insospettabili, ammiratrici di Pavarotti.
E poi c'è quella rosa, una sola rosa a gambo lungo, lasciata davanti al cancellino di ferro battuto in rappresentanza dell'«Amatoriale Belcanto» di Piacenza. «Sentite condoglianze» ha scritto in fretta, col pennarello, sul bigliettino, una certa Cinzia. Prima di dileguarsi tra la gente.
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