RomaSi fa presto a dire «assalto alla diligenza». Si fa presto a pensare che la maggioranza sia squassata dalle solite lotte intestine tra lealisti e finiani. Si fa presto anche a inventarsi un nuovo capitolo del «grande freddo» tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre. E d’altronde, come dar torto agli specialisti del retropensiero, agli aficionados del feuilleton politico? Con circa 2.500 emendamenti alla manovra economica biennale depositati in commissione Bilancio del Senato, la metà dei quali (1.116 del Pdl e 89 della Lega per un totale di 1.205) di marca centrodestra, non è sacrilego immaginarsi un cortocircuito nel flusso di informazioni tra Parlamento, Presidenza del Consiglio e ministero dell’Economia.
Infatti i rumors malevoli hanno subito iniziato a circolare disegnando quadri immaginifici nei quali il premier Silvio Berlusconi viene rappresentato caravaggescamente come «martirizzatore» di Tremonti-San Pietro, il custode della chiesa dei conti pubblici. Questa tela è un falso: dopo gli elogi incassati a livello internazionale, il presidente del Consiglio non potrebbe mai mettere in discussione l’autorevolezza del ministro dell’Economia.
Risponde al vero, invece, il fatto che il Cavaliere non si sia mai definitivamente «innamorato» di questa manovra: anche se la lotta all’evasione fiscale è necessaria, alcune misure gli ricordano troppo quelle che il centrosinistra propugnava. E se si analizza la mole delle proposte di modifica, un dato balza subito agli occhi: nessun emendamento è stato firmato dal relatore, il presidente della commissione Bilancio Antonio Azzollini, oppure presentato dal governo. Quindi quei 1.205 progetti sono farina del sacco dei peones e fanno un po’ tristezza perché solo mettendo insieme quelli del Pd (823), dell’Udc (293) e dell’Idv (149) si giunge a quota 1.267.
E la risposta è tutta in quel «disamore». Senza le redini di Berlusconi i peones, pressati da Regioni, Province, Comuni e lobby del territorio e del collegio elettorale, sono andati a briglia sciolta. In fondo, se il governatore lombardo Formigoni un giorno sì e l’altro pure critica la manovra, tanto più si sentono autorizzati a modificarla i senatori. Tra i quali il Pdl Salvo Fleres che ha avanzato la proposta di trasformare i balconi in verande con una semplice dichiarazione e ha chiesto di estendere la vendita di dolciumi anche agli edicolanti. La Lega invece ha proposto uno «scudo» per i falsi invalidi che si autodenunciano.
La pattuglia finiana capeggiata dal presidente della commissione Finanze Baldassarre ha riaggiornato la contro-Finanziaria: cedolare secca sugli affitti, tagli all’Irap e fondi per ricerca e università. I fedelissimi del presidente della Camera hanno inoltre chiesto altri 300 milioni per Roma e l’accorpamento di Ice, Simest e Sace, gli enti che si occupano di commercio estero.
Bisogna, però, sgomberare il campo dall’idea che la situazione sia sfuggita di mano ai controllori designati: il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, e il suo vice vicario, Gaetano Quagliariello. A Palazzo Madama il Pdl non ha mai evidenziato quelle sfilacciature che hanno imbarazzato la maggioranza a Montecitorio. Anzi, appena materializzatosi il malloppo di emendamenti, Gasparri e Quagliariello hanno costituito un «comitato» con il compito di «scremare» e concentrare «il confronto su poche e qualificanti questioni, sulle quali la maggioranza, in accordo con il governo, effettuerà un approfondimento, nel rispetto delle indicazioni macroeconomiche indicate dal decreto».
Anche perché il finale della storia è già scritto con buona pace di tutti quanti: maxiemendamento, fiducia e passa la paura.
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