Sentite bene che livello di fariseismo. Siccome questo governo ha tolto un po' di burocrazia di mezzo e ha semplificato le cosiddette procedure per far prima a fare le cose (tipo - per intenderci - le case all'Aquila o la rimozione della munnezza a Napoli) avrebbe provocato, così facendo, il ritorno della corruzione, delle tangenti e di tutti quelle schifezze che sono legate al rapporto tra imprenditori e politica.
Secondo questi santarelli della domenica, Eugenio Scalfari in testa, prima di Berlusconi e dell'opera di disboscamento burocratico (purtroppo ancora gravemente insufficiente) che ha compiuto, tutto andava meglio. Tra imprenditori e politica c'erano rapporti che neanche tra San Francesco e Santa Chiara: fratello imprenditore e sorella politica. Eppure l'Eugenio nazionale un po' di politichetta l'ha vista e anche fatta. Niente, nell'omelia domenicale dal pulpito di Repubblica, se qualcosa è stato fatto da Berlusconi e compagni il male da qualche parte si deve annidare, e il nostro Indiana Jones dei peccati del Cavaliere, lo scopre e lo rivela.
Perché fariseismo? Perché è vero esattamente il contrario. È provato da secoli di storia e da migliaia e migliaia di pagine che più burocrazia c'è e più corruzione c'è. Ormai, escluso Scalfari, gli eredi dell'homo sapiens ne sono tutti convinti.
Tutto questo non si può dire. Se poi dici che la corruzione è consanguinea alla politica e che per combattere la corruzione devi offrire alla politica meno occasioni burocratiche dove inciampare e andare contro la legge, allora sei un immorale. Avresti dovuto sostenere che bisogna educare l'uomo alla responsabilità morale e al rispetto delle leggi. È quello che è successo a chi scrive che ieri, sempre su Repubblica, ormai divenuto quasi un manuale per confessori, si è beccato una lezioncina da Michele Serra. Siccome ci si spingeva fino a dire che del perfezionamento morale dell'uomo era meglio che se ne occupasse il cardinale Tettamanzi, perché si parlava del consigliere comunale di Milano messo in galera, e che era meglio occuparsi delle riforme della burocrazia che offrissero meno occasioni di inciampo possibile, allora il simpatico Serra conclude che meglio sarebbe che i giudici si facessero preti. Così avremo più giustizia. Non è detto, caro Serra, immagini se nell'emergenza di doversi confessare, un giorno, non potesse scegliere il confessore e si imbattesse in un confessionale con dall'altra parte un prete di nome don Antonio Di Pietro?
Ma a parte questa ipotesi, che comunque non le auguro, alle lezioncine preferiamo da sempre le lezioni. Bene. Sono anni che illustri economisti e storici dell'economia (ne ha dato prova ieri su questo giornale il professor Francesco Forte) vanno ripetendo fino alla noia che, dati alla mano, dove la burocrazia e le regole sono snelle, la corruzione è minore. Basterebbe citare la Scuola della Public choice o la teoria della cattura della Scuola di Chicago o gli innumerevoli studi sulla corruzione nel dirigista e iperburocratico sistema economico sovietico, ma non vogliamo annoiare il lettore che al lunedì mattina ha ben altri problemi da affrontare. Anche perché è un ragionamento che si offre all'evidenza della mente di chiunque.
Che cos'è la corruzione? L'offerta da parte degli uomini delle istituzioni o la richiesta da parte degli imprenditori di favori (cioè sveltimento contro la legge delle pratiche burocratiche) in cambio di quattrini.
Non ci sono riusciti in Unione Sovietica che lei, Serra, ha studiato certamente meglio di noi, vuole che ci riusciamo in Italia?
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