Milano, Calabresi e il bombarolo: la strage in Questura

Milano, Calabresi e il bombarolo: la strage in Questura
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L'occasione era solenne: prefetto, cardinale, sindaco, ovviamente il questore e i vertici di tutti i corpi delle forze armate. Era passato un anno dall'omicidio Calabresi e quel 17 maggio 1973 alla questura di Milano, in via Fatebenefratelli ci sono tutti i vertici dello Stato, che sono venuti a porgere il loro omaggio a Gemma Capra Calabresi, la vittima. C'è anche lo scultore Gualberto Rocchi che ha realizzato il busto del Commissario. Il busto è sotto un drappo, appoggiato su un basamento di granito rosa di Baveno. Viene scoperto, si tiene il discorso di rito nel cortile della questura, lo stesso dove è precipitato Pinelli, la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969. Nella violenza degli anni di piombo le tragedie si incrociano. Nella violenza degli anni di piombo la mattanza non è mai finita. E infatti mentre le persone a cerimonia finita stanno lasciando la questura, fuori in strada viene lanciata una bomba a mano. Un botto secco squarcia la città. Poi pochi secondi di silenzio e una nuvola di fumo che si dirada, poi partono le urla di dolore, un cameraman accorre dall'interno della questura, i fotografi iniziano a scattare. L'attentatore Gianfranco Bertoli viene arrestato in flagranza di reato, si dichiara anarchico anche se ha contatti con il terrorismo nero e con i servizi segreti. L'unica cosa tragicamente certa restano i 4 morti e i cinquantadue feriti. Tutta questa vicenda e le sue incredibili ramificazioni rivive ne «Il bombarolo» pubblicato da Feltrinelli e scritto da Paolo Morando e Massimo Pisa. Il lettori non si aspetti una soluzione certa di una vicenda che non può averla, nel saggio però troverà la mappa di un'epoca che parte dalla musica e dalla controcultura e arriva ad un attentato quasi dimenticato ma che ha sfiorato la vita di tanti milanesi.

Tanto per dire lo scrivente è il figlio del cameraman della Rai che corse fuori dalla questura e filmò i feriti al suolo. Non era all'esterno solo perché non era sicuro di essere riuscito a filmare bene il busto di Calabresi e stava ricaricando la cinepresa. Un dubbio gli salvò la vita.

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