"Lettera d'amore a Giacomo Leopardi", da passero solitario a rondine

Lo scrittore mantovano sorvola l'Europa con il poeta di Recanati. Parlando di politica, morale e letteratura

"Lettera d'amore a Giacomo Leopardi", da passero solitario a rondine
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Non da ieri Antonio Moresco scrive epistole che il postino incontrerebbe qualche difficoltà a recapitare, visto che alcune Lettere a nessuno, pubblicate nel '97 da Bompiani, erano indirizzate a scrittori defunti, come Svevo. Questa appassionata Lettera d'amore a Giacomo Leopardi (Solferino, pagg. 235, euro 15) appartiene allo stesso genere, ma stavolta le affinità con il destinatario sono profonde. La gobba di Moresco non è stata fisica, ma esistenziale; alla dolente stagione passata in seminario («Non andavamo a casa neanche per le vacanze, d'estate venivamo mandati in un orfanotrofio in pianura») seguono «dieci anni di deragliamento: pericoli, città diverse, tumulti, traslochi di nascosto, processi, arresto, prigione, e poi disperazione, invisibilità, rigetto...». E dire che Leopardi avrebbe potuto salvarlo subito e risparmiargli più di un abbaglio: «Come avevo fatto a credere che la storia umana era un cammino verso il progresso e il sole dell'avvenire; che solo l'economia era la struttura e tutto il resto era sovrastruttura?».

Il Leopardi di Moresco scompagina le carte: deride le magnifiche sorti progressive e si rivela, per semplice buon senso, sovranista: «il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso». Esattamente il contrario di ciò che nei Ricordi tristi e civili scappò detto a un Cesare Garboli obnubilato, e cioè che non appena un italiano esprime qualcosa di patriottico, si trasforma subito in un fascista. Sulla scia di Leopardi, Moresco sviluppa un'ipotesi di notevole perspicacia secondo la quale noi italiani saremmo affetti da una malattia autoimmune: ci scagliamo contro noi stessi cercando di ferirci, di farci fuori da soli. Leopardi era ateo e materialista, dunque naturalmente titolato a diventare un punto di riferimento per la sinistra radicale e, oggi, woke. Se, a parte qualche eccezione, ciò non è avvenuto, se già il circolo dei manzoniani lo considerava un poeta inservibile, di idilli campestri, è perché Giacomino non ha mai sposato il «catastrofico mito moderno del progresso», per usare le parole di Moresco, preludio a un «nichilismo terminale autoassolutorio».

Nella seconda parte il volumetto ha uno scarto, Leopardi vi appare in carne e ossa. Lui e Moresco partono per un viaggio in giro per l'Europa, trasformati in rondini. La notte dormono nei canneti o nascosti nelle grondaie, sperando nella clemenza dei gatti. All'inizio, lasciata Recanati, si dirigono verso Roma e la raggiungono al tramonto, mentre dallo stadio si riversa sulla città una cascata di suoni e di luci. Leopardi spera si tratti di un concerto di Vasco Rossi, cantante che apprezza, e invece scorge sul palco una donna bellissima con le mutande e il reggiseno di cristallo, Taylor Swift; con la conseguenza di rimanerne turbato, e forse di aggiungere un'altra Silvia alla lista degli amori sognati. Poi le rondini, superate le Alpi, entrano nel palazzo del Parlamento europeo di Strasburgo, fra lo sconcerto dei commessi che non sanno come farle uscire. Nel corso del viaggio parlano, o meglio stridono, di tutto: di politica, morale e anche di letterati fioriti dopo il fatidico colera del 1837, che uccise Leopardi quando si trovava sotto il vulcano campano.

Non è, questo, un poeta laureato buono per le vecchie zie, ma una mina vagante che potrebbe esplodere in ogni momento; e mai in

queste pagine si commette l'errore di attribuire ciò che si approva di Leopardi al suo genio, e ciò che si disapprova alla sua gobba. Come il Riccardo III di Carmelo Bene, il Leopardi di Moresco è tutta gobba, e va bene così.

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