Nitobe, il samurai venuto dall'Occidente

All'inizio del '900 lo studioso nipponico presentò il proprio Paese al resto del mondo

Nitobe, il samurai venuto dall'Occidente
00:00 00:00

La cultura giapponese è così lontana da quella occidentale che per spiegarla agli occidentali occorre: o un occidentale molto giapponesizzato, o un giapponese molto occidentalizzato. Un eccellente esemplare di occidentale molto giapponesizzato è piuttosto noto, Lafcadio Hearn. Nato in Grecia nel 1850 da madre greca e padre irlandese, fu dai 6 ai 19 anni dublinese, dai 19 ai 39 anni statunitense e infine, dai 39 anni alla morte, nel 1904, giapponese, tanto da assumere il cognome della moglie, Koizumi, e il nome Yakumo, che significa «molte nuvole» e rimanda a Izumo, luogo mitico della tradizione giapponese assimilabile all'Olimpo della mitologia greca.

Ma un giapponese occidentalizzato quanto Nitobe Inazo (1862-1933), molto meno famoso di Koizumi Yakumo, sarebbe un'impresa trovarlo. In ordine cronologico: prima dei vent'anni si convertì al cristianesimo; ai suoi professori dell'università diceva che voleva «essere il ponte che avrebbe attraversato il Pacifico»; studiò a lungo prima negli Usa, dove aderì alla setta protestante dei quaccheri e prese moglie, e poi in Germania; tornato in patria ebbe una luminosa carriera accademica, dopo quella politica iniziata a Ginevra in qualità di sottosegretario della Società delle Nazioni e assunse una posizione decisamente contraria a quella militarista del primo ministro Tanaka. Figlio di un samurai, quand'era un bimbo, nel 1870, percepì le conseguenze di una svolta epocale per la vita del suo Paese: l'abolizione del feudalesimo. E poiché il feudalesimo giapponese, nato nel 1192, sta a quello europeo come i samurai stanno alla classe nobiliare dei cavalieri europei, nel 1900 Nitobe pubblicò in inglese, a Philadelphia, presso un piccolo editore quacchero, la sua opera più famosa: Bushido: l'anima del Giappone (ora proposta da Bur Rizzoli, pagg. 207, euro 11,50, a cura di Tea Pecunia).

Nitobe non era un semplice brontolone passatista e laudator temporis acti, non era un nostalgico in polemica con la restaurazione imperiale dell'epoca Meiji. Ma per far conoscere agli occidentali il suo Paese scelse di concentrarsi sul bushido, letteralmente «militare - cavaliere - via», insomma, «la via dei samurai», perché lì, in quei sette secoli durante i quali il potere risiedeva (dall'alto al basso) nello shogun, il generale supremo; nei daimyo, i feudatari; nei bushi, la casta guerriera, che tutto il mondo imparò, secoli dopo, a chiamare, appunto, samurai, egli trovò concentrati tutti i tratti distintivi, ancora all'inizio del XX secolo, del Giappone. «Tra i fiori, il ciliegio; tra gli uomini, il guerriero», dice un vecchio proverbio che non è ancora tramontato nel Sol Levante. Come a dire: il samurai è il meglio che abbiamo. Ed ecco a voi la sua via, chiosa Nitobe.

Il bushido è un sistema etico, è come un immenso albero che si sviluppa innestando, sull'autoctono shintoismo, il buddhismo e il confucianesimo. Richiede rettitudine, cioè la giustizia pur se in assenza di un codice scritto; coraggio associato alla sopportazione; benevolenza e compassione; cortesia; veridicità, ovvero sincerità; onore; lealtà. Inoltre contempla il suicidio e la vendetta, purché a ragion veduta. Forse i giapponesi non hanno un equivalente del nostro «vale più la pratica che la grammatica», e anzi, l'occidentalizzato Nitobe si fa interprete del concetto opposto, in linea con il pensiero nipponico, secondo cui è l'obbedienza alla regola a contare più delle azioni che da essa derivano. E dunque ha buon gioco nel trovare affinità fra le regole occidentali e quelle giapponesi, anche attingendo ai grandi autori della nostra cultura. Nietzsche che esorta a essere orgogliosi del proprio nemico. Adam Smith che basa la propria filosofia sull'empatia. Herbert Spencer che vede nella grazia il movimento più conveniente dal punto di vista economico. Thomas Carlyle che concorda con Mencio nel dire che «la vergogna è il terreno di ogni virtù, delle buone maniere e della buona morale». Aristotele che pone lo Stato sopra l'individuo, al quale chiede lealtà e sottomissione.

Thomas Browne che ammonisce: «dove la vita è più terribile della morte, allora il maggior valore è osar di vivere».

E poi, tanto Shakespeare e tanta Bibbia, soprattutto con il Nuovo Testamento. Del resto, Nitobe Inazo, da buon quacchero, si trovava a proprio agio con il misticismo evangelico.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica