Milano può essere una città sotto tutela?

È possibile censurare due grandi artisti? È possibile che a Milano non si possa vedere quello che si vede a New York, a Londra, a Chicago, a Parigi, perfino a Serravezza? Milano è una città sotto tutela? E si può definire pedofilo o parapedofilo un fotografo come Saudek, ammirato in tutto il mondo?
I Saudek sono ebrei, e questo significò per la famiglia prima la discriminazione poi la deportazione. Più tardi Saudek fu censurato dal regime comunista che ne negava l'esistenza, come il ministero della Cultura ceco. Immagini violente o immagini provocanti determinano, come le fotografie di guerra, una reazione di turbamento, di indignazione, mai di emulazione. Per questo nessuna immagine, nel mondo contemporaneo (lo mostrano i filmati dei terroristi islamici contro gli ostaggi) merita di essere censurata, se non in uno Stato di polizia.
La cultura libera non vuole pregiudizi, e i valori vanno ricercati anche nelle contraddizioni. Per questo mostriamo gli orrori del nazismo in immagini raccapriccianti, e - nell'iconografia religiosa - i martirii dei santi e la terribile passione del Cristo. Testori ce lo spiegava e resta il più alto riferimento per una politica culturale a Milano. Talvolta l'insufficienza di informazioni porta a sentenze frettolose.
Quanto all'estetismo di Saudek, bambino vittima, non certamente pedofilo, non mi pare che vada molto oltre la sensibilità decadente, espressa dai pre-raffaeliti a Kubrick. Un'estetica che applica dal 1960, essendo riconosciuto nel mondo come il fotografo contemporaneo più importante della Repubblica Ceca che, in quest’occasione, lo ha sostenuto attraverso il Consolato generale di Milano.
Che cosa, nei due grandi fotografi, non va bene per Milano, se va bene LaChapelle, che è meno grande e più giovane di loro? Non è concepibile che i pubblici amministratori di una città democratica entrino nel merito, nel «valore» estetico e anche etico degli artisti, anche di questi due fotografi universalmente riconosciuti e certamente non più violenti e drammatici, o inquietanti, di Bacon, che, dipinse in modo dissacratorio cardinali e papi, e mostrò corpi squartati. Forse il tempo lo ha reso meno «traumatico» e scandaloso da non poter essere discusso e censurato? O forse la fotografia, pur di invenzione, incontra più censure della pittura, perché appare più vicina alla realtà? Ma la trasfigurazione di Witkin non è diversa da quella di Bosch.
La questione estetica appare impervia, soprattutto se pensiamo alle forme di sadismo che attraversano la pittura della realtà del Seicento, e alla dichiarata «pedofilia» di Caravaggio e di Balthus.
Da queste contraddizioni, mentre si vuole per Milano una dimensione internazionale, discende anche l'occasione perduta di «Vade retro, arte e omosessualità», che fu poi realizzata con più mezzi ma identica sostanza, e raccogliendo universale consenso a Londra, dopo il fallimento della nostra.
Quanto alle richiesta di grandi mostre, e di respiro internazionale, con il tempo necessario e nonostante gli scarsi mezzi, sono in programma, per il 2009 «La formazione di Caravaggio», per il 2010 la enciclopedica (e testoriana, con efferatezze varie, e martirii, e morti) «Civiltà artistica dei sacri monti».
Per tutte queste iniziative il Comune stanzia in un anno poco più di un milione di euro. Marco Goldin spende a Brescia 12 milioni per una sola mostra, ottenendone metà dall'ente pubblico, per noi, per me, in quantità e qualità, non è possibile fare di più di quanto abbiamo fatto. E facciamo. Coinvolgendo sostenitori in imprese di assoluto respiro internazionale, a partire da LaChapelle, per cui il Comune non ha fatto alcuna promozione. Ma sono indiscutibilmente «internazionali» la mostra di Balla con prestiti da ogni parte del mondo e quella di Bacon, più grande, e un anno prima dell'annunciata mostra di Londra. Non parliamo della collezione Terruzzi che, come quella Alemagna, io ho riscoperto e «sdoganato», facendola conoscere a Rutelli e concordando la soluzione della prima mostra a Roma. E dell'esposizione definitiva a Milano.
Così, non meno internazionale è la grande mostra di Canova e delle sculture neoclassiche de l'Hermitage con studiosi e curatori di indiscusso valore. Stiamo chiudendo anche un Monet con il Jeu de paume, a Parigi, per la «Bella estate», e poi Ligabue, «per tutti», entrambe di sicuro richiamo popolare per accrescere i risultati già straordinari della precedente edizione della «Bella estate» (125mila visitatori). Importante, credo, la proposta di artisti contemporanei, altrove invisibili, come è stato per Serafini, da Piero Guccione a Dino Vals, al mirabile Dobrilla (non meno bravo di Arondt Demetz, già presentato al museo archeologico, e pure in sospetto di pedofilia), al berlinese Adelchi Riccardo Mantovani, al testoriano Dobrazanski, a Mathew Spender, ammirato da Bernardo Bertolucci, a Fabio Novembre. E ancora la attesa retrospettiva sul nuveau realisme che ebbe a Milano il suo teatro. Quanto alla fotografia, dopo i grandi respinti citati, si attendono Weegee, Robert Frank, Annie Leibowitz, Richard Avedon.
Tante proposte, senza limitazioni, senza dogmi, senza percorsi obbligati, senza «linea». Non esiste una politica culturale di destra, ci può essere una differenza rispetto a una politica culturale di sinistra soltanto nel metodo, cioè nel consentire libertà di espressione a tutti. Una politica culturale liberale non è contro la sinistra, non è il suo opposto, non ha una posizione ideologica, e non prevede un impegno militante, o «militare». Grazie a questi principi accade che la bellissima mostra di Munari ci sia stata chiesta da Roma. E non si può dare una dimensione internazionale se si pretende che l'arte abbia una funzione didattica o didascalica, serva a dare l'esempio e illustri i valori religiosi o politici.

È il limite che Benedetto Croce vedeva nella Divina Commedia di Dante. Un’opera sublime ma che non può escludere Les fleurs du mal di Baudelaire. L'arte non tollera confini. E Witkin e Saudet, maledetti quanto si vuole, sono i Baudelaire e i Verlaine del nostro tempo.

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