Brera riapre martedì prossimo, e non sarà più quella di prima. La Pinacoteca e la Biblioteca Braidense avrebbero dovuto spalancare di nuovo le loro porte già il 2 giugno: il MiBac così aveva chiesto ai musei statali. Ma se Brera come peraltro il Cenacolo ha «disobbedito» non è per pigrizia: ci sono nodi ancora da sciogliere e proprio oggi il direttore James Bradburne presenterà il suo progetto a sindacati e lavoratori. Ci saranno, come qui ci anticipa, novità su orari, costi e fruizione. «L'errore più grave sarebbe sprecare la situazione e avere paura del cambiamento: il mondo si sta riorganizzando e così devono fare anche i musei», dice.
Direttore Bradburne, perché ha posticipato l'apertura al 9 giugno?
«Il problema non sono i requisiti di sicurezza definiti dal Dpcm: la segnaletica è pronta così come il termoscanner, che verrà gestito dalla guardia giurata all'esterno, la climatizzazione è corretta ed è stata predisposta anche la sanificazione necessaria. Il gel igienizzante è arrivato solo ieri, ma pazienza, questi sono solo piccoli inconvenienti. La vera questione è un'altra».
Quale?
«Il personale, la squadra di Brera di cui sono responsabile. Già in epoca pre-covid il museo aveva un organico sottodimensionato, tanto che dal Mibac erano state promesse 13 nuove persone per maggio. Ora i numeri sono ancor più risicati: ci sono guardiani di sala che, per problemi di salute, non possono lavorare a contatto col pubblico. Non siamo nella condizione di garantire l'apertura undici ore al giorno, come prima».
Su chi può contare, oggi, Brera, per poter riaprire le sale?
«Dei 78 dipendenti sulla carta, di fatto non arriviamo a 50. Questa è la squadra a disposizione, da rodare in questi giorni. Prima pianificavamo gli orari museali su 12 turni del personale, ora lo faremo su 6».
Siete dimezzati.
«Sì, e cominceremo con un orario sperimentale. Per le prime tre settimane, apriremo due mattine la settimana, dalle 9 alle 13, e quattro pomeriggi, dalle 14 alle 18, con il lunedì come sempre di chiusura. Vedremo come va, pronti a correggere il tiro».
Milano è metropoli abituata ad avere tutto aperto, musei compresi, 7 giorni su 7.
«Quell'epoca non esiste più. Oggi siamo privi del cosiddetto turismo di massa e al momento anche del pubblico delle scuole: come musei dobbiamo realisticamente capire quando è davvero utile tenere aperto e domandarci con onestà: per chi lo facciamo? I 400mila visitatori annui saranno un ricordo».
Quale sarà quindi il futuro di Brera?
«Non dovremmo mai dare i musei per scontati. La visita diventerà qualcosa di speciale non perché cara o inaccessibile, ma perché rispetto al passato più rara e preziosa. E a proposito degli ingressi, annuncio fin da ora un periodo di gratuità».
Rinuncerà ai ricavi dei biglietti in un momento come questo?
«È un regalo alla città: di sicuro lo faremo il primo mese e forse anche i prossimi tre. Resta comunque l'obbligo della prenotazione online, per la gestione dei flussi nelle varie fasce orarie. Detto questo, penso sia il momento per sperimentare nuove strade».
Che cosa intende, direttore?
«I musei non torneranno nell'immediato futuro ad essere quelli di prima, ci sarà un flusso inferiore di persone e un orario ridotto: perché non immaginare allora un ingresso costantemente gratuito, trovando sponsor adeguati che si facciano carico dei costi?»
Non le pare un azzardo?
«Al contrario: va cambiato l'intero modello museale. È ora di resettare tutto e ripartire da zero non rincorrendo ciò che prima c'era e che peraltro si configurava già come un sistema fragile, tenuto in piedi grazie alle cosiddette mostre-evento'.
Dobbiamo ripensare i musei in un'ottica sostenibile, dove l'esperienza diretta in sala si rafforza e completa grazie all'offerta online fruibile da casa: la quarantena ha dimostrato quanto il digitale possa fare per la divulgazione culturale e anche noi, con il boom di accessi al sito di Brera, lo abbiamo constatato. Sogno un futuro in cui visitare un museo diventerà un'esperienza magica, perché davvero speciale, ma democratica, perché per tutti gratuita».
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