«Caro assessore, questa non è arte»

«Caro assessore, questa non è arte»

Carissimo assessore,
a proposito di Macao, mi preme davvero farle i complimenti per il suo spirito filantropico. Congratulazioni a nome di tutti quelli «ignoranti» come me che non hanno il privilegio di vivere di «arte» la notte e concedersi il lusso di dormire di giorno.
Quelli che con rammarico non possono unirsi al coro danzante dei suoi amici perché al mattino hanno una sveglia che suona alle 06.30.
Vivo, come lei, in questo Paese in cui il patrimonio artistico cade letteralmente a pezzi, abbandonato a se stesso, in cui gli enti non hanno i soldi per restaurare le opere giacenti nelle cantine dei musei, in cui la scuola pubblica non ha i soldi nemmeno per rendere sicuri i propri locali. In cui bisogna fare qualcosa, urgentemente, per consentire a tutti di mantenere la propria dignità, costruire il proprio futuro con determinazione, ma anche con impegno e responsabilità. E il suo messaggio qual è? Rispondete alla prepotenza con la prepotenza. Appropriatevi di quello che volete, come volete, quando volete.
Vogliamo parlare di arte e cultura? Forse anche qui la mia percezione è, come dire, antica, vecchia, quasi da rottamare, perché davvero non capisco qual è il confine tra arte e rave party fino alle 3 di notte. Mi spieghi lei, per cortesia (visto che ho fatto solo cinque anni di classico, quattro di Università e ho sempre continuato a studiare), il significato culturale intrinseco della musica techno che fuoriesce a volume assordante dalle finestre aperte del suo Macao ogni sera dalle 22 alle 2-3, o all'infinito, dipende dall'ora in cui qualcuno, esasperato, decide di chiamare la polizia.
A me sembra più barbarie. Ops, pardon, ma forse la vendita abusiva di alcolici sotto la ex Torre Galfa vuole solo riprodurre paradossalmente l’attuale lotta contro l'evasione? Ah, già, decido di vendere drink in mezzo alla strada senza licenza come rappresentazione tragicomica di questa odiosa abitudine degli esercizi commerciali di non fare scontrino? Ottimo, chissà quanti interpreteranno così questa new entry nel panorama degli abusi nazionali.
Dunque, complimenti, a nome di quelli come me che il precariato e il sommerso lo hanno vissuto sulla propria pelle in un momento in cui il mercato del lavoro italiano iniziava ad assumere le forme inquietanti che ha oggi, ma che hanno tenuto duro giorno dopo giorno, curriculum dopo curriculum, colloquio dopo colloquio.
Non mi sono mai piaciute parole come «regole», «ordine», «disciplina»: mi hanno fatto sempre pensare a qualcosa di imposto. Ho sempre creduto invece in termini come civiltà, rispetto, consapevolezza delle proprie azioni, cura e attenzione come scelta di libertà e di emancipazione, come sintomo di una società evoluta. Peccato scoprire che questi concetti, all'atto pratico, si traducono in un brutale «fai quello che ti pare, fregatene di tutto e tutti».


Credo proprio che questa notte, quando io e tutti gli abitanti del quartiere, saremo costretti dai suoi amici ad avere un concerto stile San Siro praticamente sul balcone di casa alle due di notte, mentalmente, non le staremo augurando la buonanotte. Anzi, chissà, magari ci staremo «ignorantemente» chiedendo se è ancora a New York, e se ha fatto un buono shopping alla faccia nostra.

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