"Per i ristoranti è l'alba. Tornano le prenotazioni"

Lo storico chef stellato sorride: "Abbiamo tutti sofferto, ma ora la gente riprenderà a spendere"

"Per i ristoranti è l'alba. Tornano le prenotazioni"

«Finalmente il telefono ha ripreso a squillare, mi pare un sogno». Ambrogino d'oro nel 2018, stellato da più di trent'anni, lo chef Claudio Sadler è un po' il simbolo della ristorazione milanese; quella alta, che in questo anno e mezzo di crisi ha sofferto come e forse più di quella cheap. Oggi, dopo tanto penare (prese anche il Covid) il suo storico locale può riaprire i battenti a pieno ritmo, perché da oggi sarà consentito ai ristoranti di lavorare anche al chiuso. «Non che in questo periodo non abbia lavoricchiato - dice - ma parliamo di meno di venti tavoli al giorno su settanta, e con un'attività a singhiozzo perché il pubblico era poco informato. Il delivery? Sì, l'ho portato avanti per quanto ho potuto, ma è una voce che non incide oltre il 20 per cento del tuo fatturato».

Ora finalmente si riparte, Sadler; con lo spirito di prima o qualcosa è cambiato per sempre?

«Beh, l'ottimismo è lecito, anche perché tutti speriamo che le chiusure siamo un capitolo finito per sempre. La gente ha voglia di uscire e ha voglia di spendere. Noi siamo qui e finalmente comincio a raccogliere qualche prenotazione; ovviamente non sarà una ripartenza in tromba, non ho ancora il personale a regime».

Voi, stellati in particolare, lavoravate molto anche con gli eventi. Tutto tornerà come prima?

«Per gli eventi ci sarà ancora da aspettare, ma intanto stanno per ripartire i matrimoni e noi con il catering abbiamo sempre lavorato bene».

Siete stati costretti a ridurre la brigata?

«Non per mia volontà, perché in tutto questo periodo ho sempre cercato di far lavorare tutti i dipendenti, facendo la cassa integrazione a rotazione. Però ugualmente ho perso un po' di forza lavoro perché c'è gente che ha preferito prendere il sussidio di disoccupazione anziché conservare il posto di lavoro. Questione di scelte...».

I ristori sono arrivati?

«Qualcosa sì, altrimenti ora non saremmo neanche qui a parlarne, ma i sussidi hanno coperto sì e no il quattro per cento delle nostre perdite; adesso stiamo aspettando che arrivi il sostegno bis, ma soprattutto che si avveri la promessa del credito di imposta del 60 per cento sul valore degli affitti. Questo sarebbe un aiuto vero perché il peso degli affitti dei locali, a fronte della scarsità degli incassi, è stato per tutti devastante».

Lei conosce la città dai tempi in cui l'alta ristorazione la facevate in cinque. Milano tornerà a essere la capitale spumeggiante dei gourmet?

«Credo di sì, anche se ognuno di noi dovrà un po' riposizionarsi, quasi come partire da zero. Ma se mi guardo intorno, vedo molti ristoranti nuovi o che stanno aprendo, anche se in tanti hanno chiuso».

E il pubblico avrà ancora voglia di spendere a cena? I ristoranti, soprattutto quelli stellati, costano...

«Massì, io tutta questa crisi non la vedo, le banche sono piene di soldi perché la gente ha risparmiato; chi ha sofferto di più sono state categorie come la nostra o quella dello spettacolo, ma la maggioranza delle persone, magari in smart working, ha continuato a lavorare...».

Finchè dura il blocco dei licenziamenti...

«È ovvio che non ho la sfera di cristallo, ma sono ottimista».

Ma a lei questo lockdown non ha insegnato nulla? Cioè riprenderà esattamente come prima?

«Diciamo che sarò più cauto e più essenziale, ho già ridotto il mio menu da 35 a 26 piatti, per un discorso di economia di scala ma non solo: oggi è importante sottolineare i piatti che contraddistinguono la tua storia, la tua identità. Sei più riconoscibile».

Non è che la gente ci

ha preso gusto a mangiare all'aperto?

«Finché la stagione dura e anche i dehors... Se è per questo, ho dei clienti che hanno mangiato fuori anche con 16 gradi. La dice lunga sulla voglia delle persone di uscire».

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