Pochi piloti, nella storia della F1, sono entrati nel cuore degli italiani come Gilles Villeneuve. A dispetto della carriera, che durò l'attimo di un respiro -solo 5 anni ai massimi livelli, dal 1977 al 1982, senza peraltro mai aggiudicarsi un titolo mondiale-, la leggenda del piccolo «Aviatore» canadese resta impressa nella memoria di tutti. Saranno stati quel carattere combattivo in pista, e quella spontaneità fuori, che gli guadagnarono la stima e l'amore perfino di un «duro» come Enzo Ferrari. O forse il suo sorriso guascone, il caschetto angelico e ribelle, lo sprezzo del pericolo, il profilo inconfondibile della mitica Ferrari Turbo n.27 che ci lasciava incollati ai teleschermi per ore intere filando, sbandando e derapando sulle piste di mezzo mondo, come se nulla fosse cambiato dai tempi delle corse in motoslitta sulle nevi del Québec: ed era puro brivido, ogni volta, fra alettoni ammaccati, cambi frantumati, vetture letteralmente «rattoppate». Gentile e leale, in pista non si arrendeva mai, nemmeno quando tutto sembrava andare storto: giù sull'acceleratore e vada come vada, a costo della vita. Non c'è da stupirsi che a Monza fosse un mito, capace di stracciare tutti i record di velocità del velocissimo circuito lombardo, cosa ripetuta anche a Fiorano. Finché, dopo quella maledetta curva di Zolder, la monoposto decollò per davvero, portandosi in cielo uno dei più puri talenti automobilistici di sempre. E anche la morte, 35 anni esatti fa, parve quella di un angelo, i cui ultimi attimi di vita sono tutti lì, condensati nella sagoma immobile accasciata sulle reti di protezione. Il mito, però, non muore mai, e oggi più che mai rivive nei 170 scatti mozzafiato di «Wow Gilles!», fino al 16 luglio allo spazio Oberdan. L'obiettivo, magistrale, è quello di Ercole Colombo, il fotografo dei piloti che, a un anno dalla splendida mostra-tributo su Ayrton Senna, si ripete ora con il biondo eroe della Ferrari, sempre in coppia con il giornalista Giorgio Terruzzi, che firma gli intensi testi del libro. Attimi di un'epopea: gli occhi glaciali concentrati prima del GP d'Austria, il casco arancio e nero con la visiera alzata, il primo podio, sempre in Austria, nel 1978 (ancora con la vettura n.12), la Ferrari in pieno controsterzo sulle piste argentine, l'epico duello con Arnoux nel Gran Premio di Francia (Digione, 1979). Ma anche le delusioni, come quella di Imola, nel 1982, quando il compagno Pironi lo «tradì» contravvenendo agli ordini di scuderia. E la morte, pochi mesi dopo in Belgio. Il racconto, però, inizia ben prima, con la nascita del campione nel 1950, gli inizi della passione per i motori e la «gavetta» nelle categorie inferiori.
Accanto alle foto sono esposti ricordi, cimeli, e oggetti iconici, fra cui un casco appartenuto a Gilles, il motore della sua 126CK del 1981, e soprattutto la tuta con cui esordì in F1 e che indossò, sdrucita e consunta, per ben 4 stagioni. Una sala è dedicata all'erede, il figlio Jacques, campione del mondo 1997.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.