«Ma nemmeno il mondo del 1919 era quello di un decennio prima. Niente affatto. Ci avevano pensato la Grande guerra e quattro anni di trincee piene di fango e sangue a cambiarlo». Morris Morgan detto Morrie è appena uscito del tritacarne della Prima guerra mondiale. Non l'ha combattuta ma, come tutti, la sta pagando a carissimo prezzo. In La stagione fischiettante, romanzo di Ivan Doig ambientato nel 1909 che apre la trilogia in cui è lui il personaggio centrale, ne avevamo seguito le vicende in qualità di professore della «classe unica» dell'immaginaria Marias Coulee, cittadina nel Montana. Vicende che si chiudevano con il dolore per la separazione dalla donna amata. E ora nel seguito, Il canto del lavoro (edito da Nutrimenti come il precedente, pagg. 287, euro 20, traduzione, come per il precedente, di Nicola Manuppelli, da oggi nelle librerie), è da un'altra donna che si riparte. Vedova come la Rose che l'ha preceduta, e come lei dolce e forte, riflessiva e combattente. È Grace Faraday, gestisce una pensione a Butte, Montana, città che a quel tempo, nel 1919 appunto, era detta la «Collina Più Ricca della Terra» per le miniere di rame.
Dunque la prima domanda che il lettore pettegolo si pone è: «Questa volta a Morrie andrà meglio?». La risposta è alla fine della penultima pagina. Ma questo non è un romanzo rosa. Vi dominano altri colori: il nero del lutto per i morti sul lavoro, il rosso dei sindacalisti rivoluzionari, il grigio dell'inquinamento sputato dalle ciminiere. Tuttavia, nonostante la comunità di minatori non siamo nemmeno dalle parti del Germinal di Zola, il romanzo sociale per eccellenza. Come in La stagione fischiettante, Doig (1939-2015) preferisce far sentire, pur con il sottofondo delle questioni politiche ed economiche, la voce della cultura, anche se prevalentemente quella popolare, folklorica (ma non folkloristica). Del resto Morris Morgan è un uomo di cultura, più che d'azione, allo scontro fisico antepone il ragionamento, diversamente dal suo compianto fratello Casper, un pugile che a Chicago fu portato a fare una «passeggiata oltre il molo», cioè annegato nel lago Michigan, da chi non aveva gradito l'esito di un suo incontro truccato. Ecco, l'unica pericolosa debolezza di Morrie è quella per il gioco. Ma anche per scoprire se andrà all'incasso o no dobbiamo attendere le ultime due pagine...
«Da quale parte del Galles viene la sua gente, Morrie?», chiede uno dei due altri ospiti, oltre al Nostro, di Grace. E lui risponde: «Chicago». «Intendo prima che attraversassero lo stagno» (ovvero l'Atlantico), insiste l'altro. «Griff, mi spiace dirlo, ma le origini esatte della mia famiglia si perdono fra le nebbie di..., setacciai il dizionario geografico della mia mente Aberystwyth e Llangollen». In Galles la miniera era pane quotidiano fin dall'inizio della rivoluzione industriale, quindi trasferirsi a Butte per Morrie è un po' come tornare alle origini. Ma con alcuni pressanti problemi in più. Butte è infatti avvolta dalle spire di Anaconda, cioè la società proprietaria delle miniere che si chiamava proprio così, Anaconda Copper Company. Quando le estrazioni vanno bene, uno stipendio dignitoso per gli operai provenienti da tutto il mondo (Scandinavia, Italia, Cornovaglia, Serbia, Irlanda...) è assicurato, ma nei periodi di magra viene decurtato. Jared, il giovane leader del sindacato locale, deve vedersela, oltre che con i padroni, anche con i wobblies, cioè gli aderenti all'Industrial Workers of the World, il sindacato nato 14 anni prima a Chicago e ora, dopo la Rivoluzione d'ottobre, con chiare simpatie bolsceviche. I wobblies vogliono forzare la situazione per giungere allo scontro con il Capitale, ma la gente del posto preferisce una protesta non violenta, ricorrendo tutt'al più a brevi rappresaglie, come l'assentarsi da un turno. Ben presto Morrie scende in campo, con la forza del buonsenso, delle idee e... dei libri.
Assunto come factotum da Samuel S. Sandison, ex grande proprietario terriero e ora responsabile della biblioteca pubblica, un omone con fluente barba bianca e occhi azzurri che nell'aspetto ricorda Walt Whitman, ma quanto a carattere gli è agli antipodi, Morrie utilizza le ampie sale di quella miniera di cultura, peraltro arricchita dai preziosi volumi della collezione privata di Sandison, come luogo d'incontro con i minatori. Ma non per proporre loro i sonetti di Shakespeare o i romanzi di Stendhal, sarebbe troppo anche per un idealista come lui, piuttosto per mettere a punto il Work song del titolo, il loro canto del lavoro. Nel frattempo, poiché i mafiosi che hanno in mano il giro delle scommesse possiedono una memoria inversamente proporzionale alle buone maniere, non hanno dimenticato il caso Casper, e quindi sono ancora alla ricerca del malloppo sottratto loro molti anni prima (malloppo nascosto chissà dove dalla vittima). Quindi Morrie si trova costantemente alle calcagna due loschi figuri. Tuttavia la squadra capitanata da lui e composta dai minatori in pensione Griff e Hoop, da Jared e dalla sua fidanzata Barbara, ex allieva di Morrie a Marias Coulee dieci anni prima, funziona bene e riesce a limitare i danni. «La fedeltà a una causa - pensa Morrie in qualità di narratore-memorialista - è una cosa spinosa. Se vi affondi le mani nel modo giusto, hai la sensazione impareggiabile di far parte di qualcosa di più grande di te. Ma se lo fai nel modo sbagliato, ti pungi ed esce il sangue».
Nel Canto del lavoro agiscono tre forze: l'ineluttabilità della condizione umana, il Male e il Bene. Ineluttabile, nel mondo del lavoro, è il lavoro stesso, con la contrapposizione fra chi lo dà e chi lo fa.
Il Male si nasconde (fino a un certo punto) dietro una maschera che non riesce a cancellare il ricordo dei delitti passati. Il Bene è ovviamente lei, l'angelica Grace. Qualcuno la aspetta fino all'ultimo, e spera che possa condurlo nel paradiso in terra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.