La minoranza che detta legge

Vi immaginate una riunione, un evento istituzionale dove, alla presenza del presidente della Repubblica, i parlamentari presenti abbandonino il luogo in segno di protesta contro il presidente stesso? O i professori che abbandonano l'aula alla presenza del Rettore e del ministro sempre per protestare? Che senso avrebbe? Nessuno. Quale grado di senso delle istituzioni dimostrerebbero? Zero. Dove collocherebbero la loro responsabilità nei confronti dei cittadini e in particolare dei più giovani? Sotto i piedi. Quello che ci chiediamo è: ma che differenza c'è tra queste categorie e quella dei magistrati che ieri hanno platealmente abbandonato le aule di giustizia in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario al momento dell'intervento dei rappresentanti del governo? Nessuna. Così come sbaglierebbero parlamentari e professori, solo per fare degli esempi, così hanno sbagliato i magistrati.
C'è un limite che non va mai superato, soprattutto per chi ha ruoli pubblici così delicati perché depositari della garanzia e della tutela di valori così fondamentali della democrazia, come la giustizia. Il limite è quello che separa la legittima libertà di manifestare le proprie idee e il rispetto dovuto alle istituzioni che si rappresentano. A queste è dovuto il rispetto che si deve quando non si è a casa propria ma a casa altrui, in questo caso in quella di tutti i cittadini. Il magistrato a casa sua può fare quello che vuole. Nel rispetto della legge può manifestare tutto il dissenso che vuole nei confronti della politica del governo in carica. Quando entra nei palazzi di giustizia è tenuto a un comportamento consono al pari del prete che entra in chiesa. Né di più né di meno. Là per rispetto del sacro, qui per rispetto della legge e dei cittadini.
Forse, oggi, in Italia, non ci sono luoghi, spazi, istituzioni di garanzia, istituzioni di autogoverno della magistratura e quant'altro dove i magistrati possano esprimere le loro opinioni, il loro dissenso e formulare le loro proposte? Forse i magistrati, oggi, in Italia, i magistrati quando esprimono le loro opinioni non hanno sufficiente ascolto presso la stampa, le televisioni, le radio e il popolo di Internet? E non vogliamo parlare della loro rappresentanza indiretta in Parlamento. E non vogliamo parlare del fatto che dispongono di un partito, l'Italia dei valori, che non si occupa praticamente d'altro.
Allora? È semplice: parte dei magistrati italiani vorrebbe dire della giustizia ciò che Luigi XIV diceva dello Stato, la giustizia siamo noi. A Milano su oltre 400 magistrati sono 65 quelli che ieri hanno abbandonato l'aula quando il sottosegretario alla Giustizia Casellati ha preso la parola. Alcuni non si erano mai visti all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Sono venuti per uscire. Contenti loro! Una minoranza, come ha sottolineato giustamente il ministro Alfano, ma una minoranza che crede di avere tutta la verità in mano e vuole imporla a tutti, anche al Parlamento. E se il Parlamento non obbedisce, se il ministro non si piega ai loro voleri, se - per dirla in termini di teoria della democrazia - il potere legislativo e l'esecutivo non si sottomettono al potere giudiziario, sono guai. Si alzano e se ne vanno.
La democrazia, fortunatamente per noi funziona così. Le leggi le fa il Parlamento e le «controlla» la Corte Costituzionale. Il Lodo Alfano la Corte lo ha dichiarato incostituzionale. Il Parlamento sta lavorando a nuove leggi e si vedrà cosa diranno il presidente della Repubblica e la Corte. Il resto non conta. Contano le opinioni di tutti quando non vogliono superare i limiti di un'opinione. Silvio Berlusconi sostenne, all'indomani della sentenza della Corte, che non era d'accordo con la sentenza.

Non risulta che alla prima occasione nella quale si sia trovato alla presenza di rappresentanti della giustizia si sia alzato e se ne sia andato. Né così ha fatto Obama nei confronti della Suprema Corte di Giustizia che ha criticato.
Se lo avessero fatto avrebbero sbagliato. I magistrati lo hanno fatto e hanno sbagliato.

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