Italiani rapiti in Libia, ancora tanti i misteri

Come è avvenuto il sequestro? Chi erano i carcerieri? Che ruolo ha giocato l'Isis? Come sono stati liberati? È stato pagato un riscatto? Ancora tanti i misteri sul rapimento e sulla liberazione dei tecnici della Bonatti rapiti in Libia

Italiani rapiti in Libia, ancora tanti i misteri

Come è avvenuto il sequestro? Chi erano i carcerieri? Che ruolo ha giocato l'Isis? Come sono stati liberati? È stato pagato un riscatto? Queste sono solo alcune delle tante domande le cui risposte potrebbero spiegare i tanti punti oscuri sulla liberazione di Gino Pollicardo e da Filippo Calcagno, i due tecnici della Bonatti che per otto mesi sono stati sequestrati in Libia. Nonostante i due siano fortunatamente liberi, in buona salute e nuovamente in Italia, rimangono ancora tanti i dubbi da risolvere. Dalle loro stesse dichiarazioni che hanno rilasciato dopo la liberazione gli investigatori non sono ancora riusciti a ricostruire la verità dei fatti.

La prima grande domanda alla quale i sequestrati non hanno ancora dato risposta riguarda il perché si siano fatti trovare nel luogo in cui sono stati rapiti. L'invito del governo italiano, infatti, era stato chiaro: evitare i trasferimenti via terra in zone considerate molto a rischio per la sicurezza personale. Eppure i quattro tecnici della Bonatti, il 20 luglio dello scorso anno e provenienti dalla Tunisia, salirono a bordo di un mezzo guidato da un autista arabo per raggiungere la base libica di Mellitah. Base mai raggiunta perché a un check point furono bloccati da uomini armati che allontanarono l'autista e li prelevarono. Solitamente gli spostamenti si verificavano via mare: quel giorno andò diversamente. Chi informò, dunque, la banda di criminali del cambio di programma? Al quesito i due ex ostaggi non sono stati in grado di rispondere.

Chi erano i sequestratori? Anche a questa domanda non è stata data un’unica risposta. Se dalle prime dichiarazioni risultava che i sequestrati fossero nelle mani del sedicente Stato islamico le ultime versioni sembrerebbero smentire questa tesi. "Non vendeteci all'Isis" è una delle suppliche che i tecnici della Bonatti hanno detto di avere fatto ai loro sequestratori durante i sette mesi di prigionia. I rapitori, secondo quanto riferito da ai pm romani, risposero: "Tranquilli, non lo faremo". Pollicardo e Calcagno, si dicono oggi convinti che chi li ha tenuti prigionieri non appartenesse all'Isis. Certezza, questa, che qualche giorno fa smentivano di avere. Sull'identità dei suoi aguzzini, Calcagno non era stato in grado di fornire particolari: "Non so se eravamo in mano all'Isis o a delinquenti. Lo stabiliranno altri. Ma certamente eravamo tenuti da criminali. Perché solo criminali possono fare queste cose. C'erano delle donne e un bambino...una famiglia di delinquenti e di criminali".

È improbabile che si sia trattato di un sequestro effettuato dall’Isis. Secondo l'intelligence le prime trattative avvenuto dopo il sequestro erano con un gruppo tribale islamista, dai connotati prevalentemente criminali, ma non affiliato al sedicente Stato islamico. I mediatori si rivelano però inattendibili e nei mesi la posta in gioco sale, tra richieste di riscatto e anche altro, forse un riconoscimento politico. La situazione precipitò dopo il blitz americano del 19 febbraio a Sabrata che uccide un gruppo di jihadisti tunisini e due ostaggi serbi: la zona piomba nel caos, e si perdono le tracce degli italiani, che potrebbero essere stati ceduti o 'rubati' da qualche altra fazione, come preziosa merce di scambio, oppure i rapitori originari si sarebbero spostati in un luogo più sicuro. Nonostante lo Stato islamico da tempo si sia infiltrato nella zona di Sabrata, ad ovest di Tripoli, potrebbe essere solo stato tirato in ballo da chi aveva in mano gli italiani per sviare l'attenzione. Ma su questo non c’è ancora alcuna certezza.

Non è ancora chiaro, inoltre, se la liberazione sia il risultato di una trattativa oppure no. Secondo Calcangno i carcerieri li avrebbero improvvisamente abbandonati, lasciandoli soli per 48 ore, fin quando i due non sono fuggiti. Ci avevano detto che 'era tutto finito e ci hanno abbandonato mentre noi siamo rimasti dentro. Ci chiedevamo perché. Da allora ho lavorato molto su quella porta dietro la quale eravamo rinchiusi. Con un chiodo ho capito che si poteva fare molto. Ho lavorato sulla serratura, un legno duro, ma con la caparbia ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino: 'Forza, se dai due colpi siamo fuori, gli dicevo. E così è stato. Dopo avere superato la prima porta, pensavamo che c'era la porta esterna, ma si è aperta facilmente. Ci siamo camuffati perché avevamo paura che qualche altro gruppo ci prendesse e una volta fuori cercavamo la polizia che pensavamo fosse l'unica a poterci aiutarci. Il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Poi sono tornato indietro con la polizia per il riconoscimento della casa". Sul perché i carcerieri abbiano abbandonato così a lungo le vittime non c’è ancora risposta.

È stato pagato un riscatto? Secondo il presidente del Copasir Giacomo Stucchi è difficile dirlo, che se ritiene che ciò non sia avvenuto. "Ho sentito del pagamento di un riscatto e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo".

Tante domande ancora irrisolte, tante dichiarazioni contrastanti e ancora grossi dubbi sulla vicenda. Che probabilmente rimarrà irrisolta ancora a lungo.

Come sottoliea il ministro della Giustizia Andrea Orlando “la Libia è un territorio senza Stato. Non ci dobbiamo stancare di cercare il filo che ci può portare alla ricostruzione dei fatti. La magistratura ha gli strumenti e la cultura per poter fare questo tipo di indagini".

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