Le forze di sicurezza del Niger hanno arrestato due cittadini turchi e un nigerino che stavano cercando di unirsi al ramo locale dell'Isis. Secondo indiscrezioni, i jihadisti sarebbero giunti nel paese africano dalle zone di guerra siriane e sono stati fermati da uomini della gendarmeria e dell'intelligence, a un posto di blocco, poche ore dopo il loro arrivo a Niamey. I tre sono stati identificati come Gurleyen Soner, Ozcan Muhammet, e Abdouramane Samber Moulaye Zeini.
Le autorità locali non hanno fornito ulteriori elementi ma l'arresto è avvenuto ad appena due settimane dal sanguinoso assalto messo in atto da jihadisti dell'Isis contro la base militare di Inates (circa 200 chilometri a nord di Niamey), nel quale hanno perso la vita 71 soldati. La base era tra l'altro già stata colpita lo scorso luglio e in quell'occasione erano rimasti uccisi 18 militari.
Due giorni dopo, il 12 dicembre, un comunicato pubblicato sull'organo di stampa dell'Isis, Amaq, rivendicava l'attacco per mano del gruppo Iswap, provincia africana occidentale dello Stato Islamico, presente tra Chad, Niger, Camerun e Nigeria. A inizio novembre jihadisti dell'Isis avevano preso d'assalto una base militare maliana nella zona di Manaka, vicino il confine con il Niger, uccidendo 49 militari.
Nella notte della vigilia di Natale, jihadisti armati hanno invece preso d'assalto una base militare nei pressi di Arbinda, nella parte settentrionale del Burkina Faso, vicino il confine col Mali; un attacco che fonti ufficiali del governo di Ouagadogou hanno definito di “rara intensità” e durato “diverse ore”, con un bilancio di 35 civili uccisi. L'immediata risposta delle forze armate del Burkina ha portato all'eliminazione di un'ottantina di jihadisti.
Gli arresti di Niamey e i recenti attacchi in Burkina e Niger mettono in evidenza per l'ennesima volta il rischio legato alla consistente e rapida espansione del jihadismo nella cosiddetta "Black Belt" africana che si estende dalla Mauritania alla Somalia, ma anche un flusso di volontari in arrivo da Siria e Turchia.
La "Black Belt" africana offre ai jihadisti una serie di vantaggi particolarmente rilevanti, tra cui la possibilità di usufruire della porosità dei confini e dunque di muoversi liberamente; la facilità con la quale colpire gli eserciti dei rispettivi paesi nonchè di creare roccaforti e rifugi in una vasta area scarsamente presidiata dalle forze
armate dei paesi coinvolti; lo sfruttamento del traffico illegale di merce ed esseri umani e, non ultimo, il facile accesso alle coste della Libia occidentale dove poter sfruttare il flusso di illegali verso le coste italiane.
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