L'Arabia Saudita teme la guerra e pressa gli Stati Uniti

Riyadh teme di trovarsi in prima linea in una possibile guerra nel Golfo e non può fare affidamento sulle politiche aggressive di Trump

L'Arabia Saudita teme la guerra e pressa gli Stati Uniti

L'Arabia Saudita denota qualche tensione e nervosismo nelle relazioni diplomatiche e ha inviato un messaggio a Washington e Londra per auspicare una possibile de-escalation tra gli Stati Uniti e l'Iran, a causa della vulnerabilità dei sauditi nei confronti degli attacchi missilistici iraniani.

Dalle dichiarazioni ufficiali si denota una profonda incertezza sull'affidabilità dell'impegno a lungo termine di Donald Trump nei confronti dei suoi alleati nel Golfo. Un'evidente preoccupazione palesata da una serie di tweet ufficiali, a partire dall'assassinio del generale Qassem Soleimani, ma trasmessa anche personalmente dal vice ministro della Difesa dell'Arabia Saudita, il principe Khalid bin Salman.

Il principe si è riunito questa settimana con Trump e Jared Kushner, genero del presidente, a Washington e poi a Londra con il segretario alla Difesa, Ben Wallace, con il Consigliere strategico della Gran Bretagna per il Medio Oriente - generale Sir John Lorimer - e il consigliere per la politica estera del primo ministro, David Quarrey. Ha anche incontrato figure di spicco nel Ministero degli Esteri.

La Casa Bianca, in violazione del protocollo ufficiale, ha confermato l'incontro con Trump solo dopo che da parte saudita erano state twittate le foto dell'incontro.

Gli incontri e il messaggio per la riduzione delle ostilità nell'area, sono stati incoraggiati e appoggiati da altri stati del Golfo ricchi di petrolio e di interessi, come gli Emirati Arabi Uniti, anch'essi arrivati ​​al punto di massima allerta a causa di Iran e Stati Uniti per il timore che la crisi possa deflagrare su vasta scala. Gli analisti confermano che il messaggio di Riyadh è volto ad evitare che il proprio territorio sia in prima linea per qualsiasi assalto all'Iran, pur sapendo che il coinvolgimento dell'area, qualora il conflitto si sviluppi in senso negativo, sarà inevitabile.

Durante i giorni delicati dopo l'assassinio di Suleimani, molti comandanti iraniani, infatti, avvertirono gli stati del Golfo delle conseguenze se i loro territori fossero diventati un trampolino di lancio per gli attacchi a Teheran. Dubai sarebbe una delle prime città prese di mira, secondo i militari iraniani.

A preoccupare - all'interno dello scacchiere mediorientale - è la vulnerabilità dell'Arabia Saudita nei confronti dell'Iran, come si evince dall'attacco di droni e missili, a settembre, contro le strutture petrolifere saudite di Aramco ad Abqaiq e Khurais. Riyad rimase sorpresa poiché l'attacco non suscitò alcuna risposta militare da parte dell'amministrazione Trump, anche se l'intelligence americana dichiarò l'Iran responsabile e la Casa Bianca descrisse l'attacco come una dichiarazione di guerra.
Un rapporto delle Nazioni Unite, che verrà pubblicato a breve, dovrebbe confermare la valutazione americana; respingendo l'affermazione dei ribelli Houthi nello Yemen come responsabili dell'attacco. Il rapporto delle Nazioni Unite dovrebbe confermare inoltre che l'attacco veniva dal nord e che le armi di lunga gittata e precisione usate escludono per ovvi motivi gli Houthi stessi.
Ma la pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, quattro mesi dopo l'attacco, servirà solo da promemoria a Riyad sull'affidabilità americana. Trump non era pronto a colpire per difendere le infrastrutture petrolifere saudite, ma era disposto a rischiare una covert operation per uccidere la figura militare più importante dell'Iran, dopo che il complesso dell'ambasciata americana era stato preso d'assalto a Baghdad.

L'episodio ha confermato l'affermazione di Trump in ottobre secondo cui l'Arabia Saudita "non durerebbe più di due settimane" senza la protezione militare degli Stati Uniti.
Anche nel rivendicare l'omicidio di Suleimani, Trump ha proposto che la NATO sostituisse alcune truppe statunitensi in Medio Oriente - un'idea ribattezzata "Nato ME" oltre a dichiarare che il "cordone ombelicale" che legava gli Stati Uniti al Medio Oriente - il petrolio - era stato tagliato. Secondo il Presidente, infatti, gli Stati Uniti sono autosufficienti in termini di energia.

Nonostante le dichiarazioni, non è previsto un immediato ritiro americano con l'abbandono degli stati sunniti; il numero effettivo di truppe statunitensi nella regione è in aumento , ma potrebbe richiedere uno sforzo diplomatico ulteriore per la ricostruzione di alcune alleanze più flebili.

In effetti, in Arabia Saudita si è registrata una tendenza, da circa un anno, volta al dissolvimento dei conflitti "storici" in cui si trova imbavagliata la nazione; con lo Yemen, con il Qatar e, più in generale, con l'Iran. I sauditi che presiedono il G20 quest'anno preferirebbero una percezione pubblica meno conflittuale del loro paese. La patente di guida alle donne, i grandi concerti e la promessa del turismo di massa non sono sufficienti a tal scopo.

Nelle ultime dichiarazioni ufficiali le diplomazia saudita si è spinta addirittura oltre, prevedendo un ruolo per gli Houthi in un futuro governo dello Yemen. Il numero di attacchi aerei sauditi nei loro confronti si è ridotto dell'80% e gli Emirati Arabi Uniti hanno in gran parte ritirato le truppe.

Riyadh, inoltre, si muove per l'interruzione dell'inutile boicottaggio di due anni nei confronti del Qatar, una disputa incentrata sul prestigio più che sulla sostanza, poiché cercava di impedire allo stato vicino di stringere un'alleanza con l'Iran, attualmente irrealizzabile visto che il Qatar, sede di una base aerea americana, sarebbe un potenziale trampolino di lancio per qualsiasi guerra americana contro l'Iran, ed è un alleato alquanto fedele.

Il tema persistente della politica estera iraniana rimane ancorato alla concezione che l'intera regione avrebbe beneficiato della rimozione delle truppe statunitensi dalla zona mediorentiale, a partire dall'Iraq. Javad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, ha fatto appello questa settimana a tutti i paesi situati intorno allo stretto di Hormuz per formare un'alleanza, dicendo che tutti "dovrebbero abbandonare il paradigma della sopraffazione e dell'antagonismo basato sull'illusione di acquisire sicurezza e sviluppo dall'esterno".

I thinktank globali sono oberati di rapporti che indicano la strada verso un riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran.

Per molti analisti, infatti, il risultato più pronosticabile che possa essere assicurato nel prossimo futuro è un patto di non aggressione limitato che sarebbe sicuramente più gradito da tutti gli attori della regione rispetto all'alternativa della guerra totale.

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