Omicidi e vendette: in Afghanistan finisce le "tregua" talebana

I rapporti che giungono dall'Afghanistan mostrano una realtà molto diversa da quella promessa dai talebani nel nuovo Emirato islamico

Omicidi e vendette: in Afghanistan finisce le "tregua" talebana

L'Afghanistan vive il quinto giorno di potere in mano ai talebani. Gli "studenti coranici" promettono calma, amnistie e di evitare qualsiasi rappresaglia. Mostrano il loro volto migliore confidando nel riconoscimento internazionale. Ma il Paese sembra essere ben diverso dall'immagine che gli insorti vogliono dare al mondo.

Mentre continuano i tentativi di fuga di migliaia di civili, le proteste sono esplose, pur isolate, in diverse parti dell'Afghanistan. Ieri, in concomitanza con la festa dell'Indipendenza, si sono registrati alcuni morti e diversi feriti per le strade di Jalalabad, Asadabad e Kabul. Sventolare una bandiera che non sia quella dei talebani, oggi, è un crimine che si può pagare con la vita. In risposta a queste manifestazioni, i talebani hanno organizzato parate militari nelle città di Kandahar e Qalat. Per le strade, riporta Agenzia Nova, i miliziani hanno mostrato le armi sequestrate all'esercito afghano, facendo sfoggio dell'arsenale che è passato adesso tra le mani degli "studenti coranici".

Le rappresaglie e i primi omicidi

Il mondo continua a interrogarsi sul comportamento da tenere con la nuova dirigenza talebana. L'Europa appare tramortita da quanto accaduto a Kabul nei giorni scorsi e solo ora prova - con tentativi maldestri - di evitare di abbandonare gli afghani al loro destino. Risposta tardiva, mentre giungono le tragiche notizie di primi rastrellamenti alla ricerca di collaboratori delle forze occidentali e omicidi mirati, come quello del comandante dell'esercito Haji Mullah Achakzay e di un familiare di un giornalista della tedesca Deutsche Welle. Quello che traspare dall'Afghanistan sembra ben diverso da quanto promesso dai leader del nuovo Emirato islamico. È di oggi anche il report di Amnesty International sulle brutali uccisioni e torture avvenute a luglio nella provincia di Ghazni contro uomini di etnia hazara. Il ritorno a casa per recuperare viveri dopo essere fuggiti in montagna è costato loro la vita.

A essere i primi bersagli delle rappresaglie talebane, oltre ai collaboratori delle truppe Nato, sono gli esponenti delle autorità locali, accusati di essere legati al precedente governo e agli occupanti. Secondo Tolo News, una delle principali reti del Paese, sarebbero diversi i comandanti locali della polizia o i funzionari diventati irreperibili o catturati dai talebani.

Il rischio di un esodo

Esiste quindi una realtà ben diversa da quella descritta dai talebani e dai loro sostenitori. Rispetto all'immagine di una Kabul in un caos controllato, dove regna la paura ma in cui sembra esserci un'apparente calma, il Paese subisce il suo destino. Dove i riflettori si spengono, si attiva la vendetta. Ed è anche per questo che ora la comunità internazionale si sta muovendo per salvare chi ha collaborato con le forze Nato e chi sceglie di fuggire per non vedere i propri figli condannati a un destino drammatico. La stessa volontà che ha mosso le madri che nei giorni scorsi hanno lanciato i bambini oltre il filo spinato dell'aeroporto chiedendo ai soldati britannici di imbarcarli sul primo volo verso l'Occidente.

Una fase estremamente complessa per il rischio di una bomba migratoria che l'Europa teme di dover gestire da sola e su cui la diplomazia è già al lavoro.

Ma le disattenzioni e l'assenza di coordinamento dimostrata durante l'avanzata talebana, quando tutto questo era quantomeno preventivabile, lasciano molti dubbi sulle possibilità che Ue e Paesi alleati trovino accordi e una strada condivisa per evitare l'esodo.

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