È il 10 giugno 2014 quando l'Isis, al termine di una prima offensiva verso sud, conquista la città di Mosul, la seconda più grande d'Iraq, ma pure Tikrit, luogo di nascita dell'ex rais Saddam Hussein.
I miliziani del gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, all'anagrafe Ibrahim Awwad Ibrahim Ali Muhammad al-Badri al-Samarrai, controllano già una buona parte di Falluja e di Ramadi, capoluogo della regione di Anbar. Da tempo l'Isis è entrato a Raqqa, città siriana divenuta una capitale de facto.
Con la rapida offensiva sulle città irachene dimostrano di avere ambizioni ben più ampie di un ruolo nella guerra civile siriana e in pochi giorni, con la proclamazione di un Califfato, chiariranno quale sia la posizione che vedono per sé: quella - risibile - di guida di tutto il mondo islamico, che pure in larga parte ripudierà le posizioni del gruppo.
L'offensiva di giugno
L'Isis muove sulla città di Mosul, la seconda più grande dell'Iraq, e ne prende il controllo, espandendo la sua area d'influenza su un luogo che oggi, a un anno di distanza, viene spesso descritto come la seconda capitale del sedicente Stato islamico.
Nella loro veloca avanzata verso sud, gli uomini dell'Is raggiungono Camp Speicher, una base militare tra Baiji, sede di una importanta raffineria e Tikrit, città natale di Saddam. I miliziani compiono una carneficina. Il 12 giugno centinaia di soldati, per la maggior parte musulmani sciiti, vengono uccisi.
Un anno dopo, con la città di Tikrit prima perduta e poi riconquistata dalle forze di Baghdad, sono mille i cadaveri riesumati da una serie di fosse comuni ritrovate ad aprile di quest'anno. Secondo il governo iracheno sono i corpi dei militari di Camp Speicher.
Un paio di giorni dopo l'ingresso a Mosul, i miliziani dell'Isis conquistano anche Tikrit, città natale di Saddam, sulla strada che verso sud porta a Samarra, dove sorge uno dei luoghi più importanti per l'islam sciita, il santuario Al Askary, già colpito da un attentato nel febbraio 2006.
A fine giugno l'Isis prenderà il controllo della raffineria di Baiji, la più grande dell'Iraq. Sarà l'inizio di una battaglia, che ancora non si è conclusa, per il controllo della zona. A oggi, le forze governative e le milizie della Mobilitazione popolare hanno rimesso piede in una parte del complesso e lottano per ricacciare indietro gli uomini di al-Baghdadi.
Nasce il "Califfato" di al-Baghdadi
A fine giugno 2014 l'Isis rompe gli indugi e, forte di conquiste territoriali che garantiscono il controllo su un'area a cavallo tra Siria e Iraq dichiara la nascita di un Califfato. Per la propaganda del gruppo è la "fine di Sykes-Picot", l'accordo tra inglesi e francesi che disegnò la geografia del Medio Oriente dopo la prima guerra mondiale e dopo la fine dell'impero Ottomano.
Il portavoce dei miliziani, Abu Mohammed al-Adnani, invita tutti i musulmani a giurare fedeltà ad al-Baghdadi, che assume il nome - per la verità poi poco utilizzato - di Califfo Ibrahim. Destituisce di ogni legittimità i gruppi jihadisti diversi dall'Isis. In molti risponderanno positivamente alla "chiamata", altrettanti dichiareranno l'illegittimità del nuovo Califfato.
I marines tornano in Iraq per salvare gli yazidi
Sono un centinaio gli uomini delle forze speciali statunitensi che ad agosto arrivano in Iraq. Una piccola forza con un compito molto preciso: evitare il genocidio degli yazidi. Circa trentamila persone della minoranza irachena sono a rischio, dopo che i miliziani hanno preso i villaggi intorno al monte Sinjar, dove si sono rifugiati i civili in fuga. Meno di mezzo milione, seguaci di una religione millenaria, rischiano un eccidio.
Numerosissime saranno, nei mesi successivi le testimonianze di donne e ragazze prese schiave o "vendute" alle violenze dei miliziani dell'Isis. In diverse occasioni la propaganda del gruppo arriverà a giustificare la schiavitù degli yazidi.
A fine agosto le Nazioni Unite parleranno di circa 5.000 morti e almeno altrettante persone prese in ostaggio. L'offensiva finirà soltanto a dicembre, con una vittoria per i curdi. Intanto dalla Casa Bianca arriva il via libera a una campagna di attacchi aerei.
Il primo occidentale decapitato
Il 19 agosto 2014, l'Isis uccide il primo di una serie di ostaggi stranieri, trucidati barbaramente. Si tratta di James "Jim" Foley, un reporter di cui da tempo si erano perse le tracce, sparito mentre era in Siria da freelance.
La strategia, scriveranno Jessica Stern e J.M. Berger nel loro volume sull'evoluzione del gruppo jihadista, non è nuova, ma "aggiorna" quello che era il marchio di fabbrica di al-Qaida in Iraq, gruppo guidato da Abu Musab al-Zarqawi, che poi diventerà, per vari passaggi, l'Isis.
La sorte di Foley era toccata anche a Nick Berg, un imprenditore statunitense e il giornalista non sarà l'unico a morire. In molti - Steven Sotloff, David Haines, Alan Henning, Peter Kassig, Haruna Yukawa e Kenji Goto - subiranno la sua stessa sorte per mano di un "boia" dell'Isis, che per la stampa diventerà Jihadi John.
La battaglia per Kobane
A settembre inizia una delle offensive più importanti lanciate dall'Isis dalla conquista di Mosul nel 2014. Gli scontri si concentrano su Kobane (Ayn al-Arab, per la popolazione non curda). Il villaggio sorge a poca distanza dalla frontiera con la Turchia e per mesi gli estremisti cercheranno di prenderne il controllo, arrivando a conquistarlo quasi tutto, poi costretti ad arretrare.
La strenua resistenza dei combattenti dello Ypg, dei peshmerga, arrivati dall'Iraq per sostenere i curdi siriani e il supporto dall'alto garantito dalla coalizione internazionale costringeranno l'Isis ad arretrare a fine gennaio, con la città praticamente ridotta in macerie. Le prime stime parleranno di più di 1.500 morti negli scontri.
Quella di Kobane non sarà l'ultima battaglia per i curdi, ancora oggi impegnati contro i miliziani dell'Isis.
Gli Stati Uniti bombardano anche in Siria
Il 23 settembre 2014, l'azione degli Stati Uniti contro l'Isis si allarga anche alla Siria, con il sostegno di una coalizione internazionale che comprende anche molti Paesi arabi, dalla Giordania all'Arabia Saudita. Iniziano i raid sulle posizioni degli estremisti, dall'alto e dalle navi da guerra americane.
Gli attacchi vanno avanti da allora. Negli ultimi giorni nel mirino sono finiti anche aree a nord di Aleppo, dove l'Isis ha lanciato un'offensiva contro le forze ribelli. Con da un lato i miliziani di al-Baghdadi e dall'altro formazioni che includono anche al-Nusra, la filiale siriana di al-Qaida, Washington ha scelto di bombardare i primi.
Ventuno cristiani copti decapitati
A metà febbraio l'Isis ricorda al mondo, ancora una volta, che il suo obiettivo è quello di costruire un califfato globale e che Iraq e Siria sono solo - almeno a livello propagandistico - l'inizio di una lotta più ampia.
Viene diffuso un nuovo video, la testimonianza di una nuova carneficina. Questa volta nelle immagini non c'è un ostaggio occidentale, ma ventuno cristiani copti, quasi tutti egiziani, sgozzati da altrettanti jihadisti.
A cambiare è anche il luogo: non siamo più in Siria, ma sulle spiagge della Libia. Nel 2014, il leader dell'Isis aveva già riconosciuto l'esistenza di "province" del gruppo all'estero. In Libia, come anche in Egitto e in altri Paesi del mondo arabo.
Riconquistata la città di Tikrit
È ormai la fine di marzo quando il governo di Baghdad annuncia di avere ripreso il controllo di Tikrit, al termine di una massiccia operazione lanciata dall'esercito e dalle milizie e con la copertura aerea garantita dalla coalizione.
La città caduta nelle mani dell'Isis nel giugno precedente torna agli iracheni. Ci vorranno comunque altri venti giorni prima che anche le ultime sacche della resistenza degli estremisti siano stanate.
Ramadi è perduta
La gioia degli iracheni per la riconquista di Tikrit non dura a lungo. A metà maggio l'Isis dà la spallata finale a Ramadi, capoluogo della regione dell'Anbar. Le forze governative sono in rotta e arretrano verso Baghdad, mentre migliaia di persone si danno alla fuga.
L'Anbar, cuore sunnita dell'Iraq, è ormai in larga parte controllato dai miliziani dell'Isis e le accuse si sprecano, con ognuna della parti coinvolte nella battaglia convinta che la responsabilità debba ricadere altrove. Su Ramadi convergono le milizie irachene, pronte a dare battaglia per il controllo della città.
La situazione al momento è incerta: l'Isis ha sfruttato a suo favore lo sbarramento sull'Eufrate, chiudendolo quasi del tutto per abbassare il livello dell'acqua. Le forze di Baghdad premono sulle periferie della città, ma pochi giorni fa gli estremisti hanno portato l'attacco sull'area di Habbaniya, roccaforte governativa. Spingono verso sud, verso Falluja e poi Baghdad.
La caduta di Palmira
Negli stessi giorni in cui l'Isis prende definitivamente il controllo di Ramadi, il gruppo - questa volta in Siria - entra da vincitore a Tadmur, il nome arabo dell'antica città di Palmira. Gli uomini di Damasco si ritirano, non prima di avere svuotato per quanto possibile il museo locale, nel timore che i jihadisti si abbandonino allo scempio a cui già si è assistito a Mosul, o a Hatra.
Le rovine, a oggi, non sono state toccate. A saltare in aria è stato invece il famigerato carcere di Tadmur.
Sono gli stessi uomini dell'Isis a pubblicare le immagini della distruzione di quelle mura, tristemente note. A lungo denunciata come luogo di torture continue e soprusi, la prigione aveva chiuso nel 2001 e poi riaperto nel 2011, poco dopo l'inizio delle proteste che diedero il là alla lunga guerra civile siriana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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