Mukazhanova e le trame magnifiche di Marco Polo

La Biennale di Venezia sulle orme di Marco Polo, che ripercorre il viaggio dell'esploratore veneziano a 700 anni dalla sua scomparsa

Mukazhanova e le trame magnifiche di Marco Polo
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«Sto ballando nello spazio», ha detto Gulnur Mukazhanova, 40 anni, kazaka residente da un decennio a Berlino, mentre nei mesi scorsi allestiva nella Sala delle Colonne di Ca' Giustinian, sede storica della Biennale a San Marco, la sua Memory of Hope che ora ci riempie di meraviglia (fino al 10 febbraio). Lo diceva a Luigia Lonardelli, che ha curato la mostra, seconda tappa del progetto speciale dell'Archivio Storico della Biennale È il vento che fa il cielo. La Biennale di Venezia sulle orme di Marco Polo, che ripercorre il viaggio dell'esploratore veneziano a 700 anni dalla sua scomparsa. Se la prima tappa cinese al Caa Art Museum di Hangzhou, Il sentiero perfetto, mostra visitata anche dal presidente Mattarella e primo progetto in assoluto della Biennale fuori sede, era dedicata all'ultima generazione di artisti cinesi «in cerca del loro personale sentiero», come ha detto Debora Rossi che dell'Archivio Storico della Biennale è responsabile e anima, ora a Venezia si compie un nuovo e inaspettato viaggio a Oriente. Seguiamo le orme meno note del padre di Marco Polo, Niccolò, e dello zio Matteo, primi ad esplorare le ruvide steppe del Kazakhstan lasciandoci guidare da Gulnur Mukazhanova che ha confezionato per l'occasione quella che il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ha definito «una mostra di stupefacente bellezza: è come entrare nelle pagine de Il Milione e poi perdersi nel tratto spiazzante di Corto Maltese e ritrovarsi in una partitura in cui la nostra storia è intessuta».

Mukazhanova, che sarebbe riduttivo definire artista tessile e che ha appena esposto con successo a Miami, nell'edizione di Untitled appena conclusa, in abito color senape impreziosito da ricami cangianti, ha spiegato che l'installazione Memory of Hope è stata ispirata dalla solidità delle colonne, elemento dello spazio espositivo che maggiormente ha colpito il suo immaginario. Le forme sinuose da lei intessute in colori accesi e ricami paiono proprio essere state disegnate durante una danza: rimandano ad antiche simbologie kazake, quelle del drago-serpente, del segno dell'infinito e dei tre mondi (umano, divino, infernale). Realizzata in fibre grezze («permettono di lavorare più in profondità»), l'opera cambia la prospettiva di chi si affaccia e poi attraversa la Sala delle Colonne. Nata a metà degli anni Ottanta, Gulnur Mukazhanova ha assistito allo sgretolarsi dell'Unione Sovietica e ai primi passi d'indipendenza del suo Paese: una transizione complessa, a tratti feroce.

Il Kazakhstan resta terra di confine, in bilico tra passato e presente, tra memoria e speranza: l'artista, recuperando tradizioni e tessuti locali, da perfetta nomade contemporanea li ha assemblati con pazienza a scarti di stoffe cinesi, per una riflessione che apre a insperati futuri nuovi intrecci (di materia, di culture).

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